
(AP Photo/Alessandra Tarantino)
Ieri sera, andando a letto, ho pensato che un evento sismico rilevante poteva essere vicino. Con la testa sul cuscino, ho ripassato mentalmente il “cosa fare in caso di” che imparai anni fa. È stata solo una coincidenza che durante la notte si sia verificato davvero un forte terremoto.
Oppure, forse, leggere spesso i dati dell’attività sismica può aver stimolato questo pensiero sonnolento. Non so come spiegare. Era solo una impressione. Mi pareva mancassero da troppo tempo scosse significative sull’Appennino. Insomma, solo una sensazione, senza alcun valore.
Non importa. Non ho la fobia del terremoto, né una fissazione. Più semplicemente, fa parte del mio quotidiano. Ne fa parte dal 23 novembre 1980. È una di quelle esperienze che ti restano appiccicate addosso. Dopo qualche anno il terremoto non ti fa più paura. Sai che lo incontrerai ancora e non puoi evitarlo. Lo aspetterai per tutta la vita, con la speranza che non arrivi mai. O che lo faccia quando sei via. Come un parente che non vorresti ospitare, ma quando si presenta non puoi lasciarlo sulla porta e devi farlo entrare.
Questa notte, a partire dalle tre e mezza, il mio telefono ha preso a suonare. Un’applicazione, da anni, mi avverte quando ci sono scosse forti in giro. Ce ne sono tutte le settimane e di solito non se ne accorge nessuno perché avvengono in mare. Stavolta non è bastata una notifica sola. Ho capito che doveva essere successo qualcosa di grave e vicino. Alle cinque stavo leggendo le notizie. Alle sei ho acceso la radio.
Come per l’Emilia quattro anni fa e prima per L’Aquila e prima ancora per Assisi, anche se non ne sono coinvolto direttamente, è come se lo fossi. Rivedo le macerie, le persone che non si trovano, la paura delle nuove scosse, la sensazione di non essere al sicuro in nessun posto…

(ANSA/ Cristiano Chiodi)
Mi è apparso assurdo passare la giornata in ufficio, secondo i soliti orari, come se non fosse successo nulla. A meno di quattrocento chilometri da qui ci sono case crollate con le persone ancora dentro.
E niente, non è un giorno sano.
Non sopporto la retorica del “grande cuore degli italiani”. Stronzate. In queste tragedia ci aiutiamo perché siamo esseri umani. Non lo facessimo, saremmo mostri spietati.
Non sopporto il giornalismo depravato del “signora, ha avuto paura?” e “che cosa ha provato quando ha saputo di aver perso tutta la famiglia?”
Non sopporto i ciarlatani che dopo ogni terremoto sostengono di averlo previsto per guadagnarsi denaro, interviste e notorietà alle spalle dei morti.

(ANSA/ Massimo Percossi)
Non sopporto il Papa che in faccia ai morti del terremoto dice che Dio si commuove. Se il suo Dio esistesse, sarebbe un assassino psicopatico che prima uccide senza pietà e poi diventa sentimentale.
Mi fanno schifo quei poveri idioti che stanno usando la catastrofe per il proprio orticello. Il politico che condivide la fotografia di se stesso mentre finge di partecipare ai salvataggi per fare l’eroe sui social; la nazista vegetariana che parla del destino che si vendica dell’amatriciana; i razzisti che se la prendono con gli stranieri anche in queste circostanze; quelli per cui il terremoto è colpa degli omosessuali… ci sono anche questi…
C’è una grande varietà di minus habens, là fuori. Dev’essere per questo che con una bottarella di magnitudo 6 in Italia si sbriciolano interi paesi. O no?
Smettetela di pregare l’omino invisibile, ché non è mai servito a un cazzo. Contattate la Protezione Civile e inviate aiuti, invece, oppure mettetevi in lista per donare il sangue.

