figura sfocata di donna

Trepidante attesa

Giovedì 12 ottobre 2006, ore 14:50, aula 2.3, la porta è chiusa.
Quando si aprirà, entrerà Serena per discutere la tesi di laurea.

Non volevo venire fin qui e vederla. Però mentre aspettavo vagando per i corridoi sono stato avvistato da un conoscente in comune che la stava cercando per assistere all’esame. Gli ho dato le indicazioni. “E tu non vieni?” dice. Accidenti a quelli che non si fanno i cazzi propri.

Ormai non potevo fare altrimenti. Ho scritto qualche parola sul biglietto di auguri e l’ho allegato al regalo. Poi mi sono avvicinato, ma non troppo.

Parenti sconosciuti e persone mai viste. Erano una decina in tutto. Lei era di spalle, parlava con il tizio di prima. Una signora mi saluta, rispondo ma non so chi sia. Intanto il tizio di prima mi vede, fa un cenno e lei si volta. Ciao.

Poi più nulla. Fa come se io non ci fossi. “Hai visto chi è arrivato?” quasi urla la signora di prima. Per un attimo terrificante ho creduto si riferisse a me. Non lo saprò mai. Serena risponde di si ma senza alcuna reazione. Trovo opportuno allontanarmi. Trovo un posto a un tavolo poco distante, mi metto a leggere un giornale e a scrivere queste note.

Quando arriva sua sorella – finalmente una persona che conosco – mi saluta, poi più nulla anche lei. Ormai sono di umore pessimo. È come essere in trappola. Non posso far parte del gruppo, ma a questo punto nemmeno posso andarmene. Continuo a scrivere per sopportare la situazione.

Il bambino risolve un po’. È il nipotino che mi osservava mentre parlavo con Serena, quando ci siamo incontrati per caso qualche settimana fa. Mentre Serena lo rincorre, lui si avvicina alla mia sedia e gira dietro di me. Quando lei lo raggiunge e si china verso di lui è a pochi centimetri da me. Mi sussurra che anche tutti gli altri, i suoi parenti, saranno costretti a restare fuori dall’aula perché lei non vuole avere nessuno ad assistere. Le dico che non sarei entrato comunque. Gliel’ho già promesso.

Poi è entrata. Con lei solo i genitori e la sorella. Non so… cioè, non ho idea di cosa fare quando uscirà. Devo avvicinarmi? Oppure aspettare che sia lei a farlo? Devo darle subito il pacchetto che mi sta sformando la tasca della giacca, oppure è meglio che attendo un momento opportuno? Non lo so. E se va via di corsa?
È come una trappola. Ma questo l’ho già detto. Vorrei trovarmi altrove, ma non posso fare a meno di essere qui ora.

Ecco. È uscita. Tra poco sarà richiamata dentro per la proclamazione. Non posso, non oso avvicinarmi. Ascolto con attenzione le parole che vengono dette. Lei non è soddisfatta della propria esposizione.

Un applauso. E’ finita. E adesso non so cosa succederà. Sto qui seduto. Voglio alzarmi, ma per fare cosa? Eccola. Ora stanno andando via, dalla parte opposta. Si allontanano. Ma lei è rimasta indietro.

Vado.

Nella stessa serie<< Una primula che “…non posso. Grazie”Allora ci sentiamo >>

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