Una sera, un palco all’aperto

Pupille secche. Lo sforzo di leggere i nomi delle strade al buio della sera estiva. La mappa fatta a matita è imprecisa: le vie camminate non corrispondono al disegno. Giro in tondo, con la testa in alto. Il passo è svelto. M’insegue veloce il tempo scaduto. Ferma, Alcesti è distesa sul capezzale che ha voluto.

Le avevo chiesto un messaggero per ovviare al ricordo stentato. Lei finse di perderne il ricordo, non per caso.  Devo far presto. Quella dev’essere la via. S’intravvede la signora vestita di nero col bastone lucido. E’ un’illusione, come la falce, il teschio e il cappello. Tutto nero, fuorché la lama.

Lei non m’attende più, se mai l’ha fatto, e siede tranquilla. Forse m’avrebbe respinto già prima, se avesse potuto. Io non ho potuto farmi scorrere la sera come tempesta sopra un tetto in lamiera. Io non ho voluto. Domani nessuno dirà che ho tremato. Voglio entrare ed assistere alla storia, sia essa di coraggio o vigliaccheria, amore o morte, di perdite o di affetti ritrovati, Dèi e uomini. Si può essere sconfitti, però partecipare è l’unico modo per evitarlo.

Ancora questa piazza, è la terza volta. L’attraverso bruciando, come chi ripete lo stesso errore. Più avanti, non può essere che più avanti, più in là, dunque. Lo splendore di un sudario ornato d’argento non fa soffrire meno il lutto. Re Admeto piange adesso ciò che non ha voluto evitare prima. Per paura, soltanto biasimevole paura. Soltanto la paura di sbagliare mi trattiene ormai dal fare un timido ingresso. Entro. Domani nessuno dirà che ho esitato.

Come ultimo tentativo di conoscere il futuro, chiamo forte la Dea. Lei non risponde. Procedo ugualmente. La nera signora ride forte alle mie spalle, e subito dopo mi è davanti. Il suo cappotto è fuori stagione, ma chi ne è toccato, gela di colpo. Un coro stentato annuncia il passaggio nell’Ade.

Già sazio ed ebbro, va cercando carezze di donna, io l’ascolto, le lacrime si affacciano per sentire meglio.
Finge sorpresa e forse è un inganno. Disegna sul volto una vocale senza voce. La sua maschera è innocente, ma innocente è chi sbaglia senza calcoli. Non ti credo. Non ti credo più. E pure non è il volermi lasciare indietro, è la bugia. È la bugia che mi ferisce.

Affronto la pallida padrona del carro che conduce nel mondo di coloro che furono. Domani nessuno dirà che ho avuto paura. Chiedo alla Morte di prendermi, se ha abbastanza coraggio per farlo. I miei occhi nei suoi, fossati di grigio. Se avesse potuto morire, la morte si sarebbe estinta per spegnere il mio furore.

Alcesti è viva, infine; Admeto, colpevole, non avrà condanna, Eracle la sconterà da innocente e lo vedi andar via solo come un mendicante.

Forse è un inganno la breve premurosa profusione di parole. Forse è la colpa ad essere loquace. Non importa. Questa volta non voglio sapere cosa nascondono le quinte. Questa volta voglio vivere l’attimo. Domani nessuno dirà che non ci ho provato, poi m’allontano, con qualcosa da mendicare.

3 commenti su “Una sera, un palco all’aperto”

  1. PARE CHE DA QUEST'”AVERNO”
    si debba tutti passare!…
    Resta pur sempre qualche consolazione (Rimedia amoris-Ovidio),la terza di Listz detta “Il sospiro”,e recitarsi una “grande” poesia
    Eros! Eros!Maschere,accecate
    Eros.Chi sostiene il suo fiammante viso? Come il soffio dell’estate
    alla primavera spegne i canti di preludio.
    E nelle voci ascolta ora l’ombra,e si fa cupo…
    Un grido…
    Egli getta il brivido indicibile su di loro
    come un’ampia volta.
    O perduto,o subito perduto!
    Breve il bacio degli Dei ci sfiora.
    Altro è il tempo,e il destino è cresciuto.
    Ma una fonte piange e ti accora.
    (Rainer Maria Rilke-Ultime poesie).FULVIA

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