figura sfocata di donna

Malore

Dalla discussione sulla chiusura della compagnia è passata una settimana. Siamo andati in scena e lo spettacolo è stato divertente per il pubblico. La sua preparazione, invece, è stata drammatica.

Il giorno dopo le urla ci troviamo per andare insieme al teatro. Arrivo in leggero anticipo. Mi raggiunge poco dopo Virginia. Parliamo di quel che è successo. Io confermo tutto ciò che ho detto già e che non ho nulla da aggiungere. Se per Laura la questione è chiusa, non abbiamo null’altro da dirci.

Quando arriva Laura, partiamo. Paolino ci aspetta là, perché abita vicino. La macchina di L. è quasi del tutto occupata da scenografie e costumi. Virginia viaggerà con lei, io da solo con la mia auto. Meglio così. Non so nemmeno come affronterò le prove.

Quando arriviamo lascio che si occupino gli altri di preparare la scena. Resto fuori. È come se nulla di tutto ciò mi appartenga. Cerco una tranquillità che credo di aver perso definitivamente. Poi il Secco esce a cercarmi per iniziare.
Tento di concentrarmi, ma è come un motore che gira a vuoto. Mi esaurisce senza che serva a nulla. Ne ricavo altra tensione. Mi preoccupa il dover affrontare uno spettacolo in queste condizioni. Sto reprimendo una rabbia folle e un senso di ingiustizia e frustrazione mai provato prima.
Quella stronza, invece, si comporta come se l’offesa fosse lei. Evita perfino di guardarmi per la paura che io le rivolga la parola.
Che razza di ipocrita.

In mezzo a questi pensieri, le battute che dico mi escono monche, storpiate. Poi arriva la scena in cui siamo io e lei in scena. Procede fin quasi alla fine. Poi mi fermo. Mi gira la testa. Le gambe mi si piegano. Devo chiudere gli occhi. Poi passa.
Facciamo la scena successiva, poi tocca al mio monologo. Infine, di nuovo insieme, fianco a fianco. Il capogiro aumenta. Ora devo sforzarmi per pronunciare le battute. La voce no esce. Mi manca l’aria. Siamo quasi alla fine, non voglio fermarmi adesso. Siamo alle ultime battute e non ricordo più niente. Nausea, capogiri, senso di debolezza, chiudo gli occhi, è peggio, li riapro, sono in ginocchio. Non voglio. Il Secco se ne accorge. Mi chiede se sto male. Annuisco: non posso parlare. Mi chiede se ho nausea, se mi gira la testa. Dico con uno sforzo che devo sedermi. Mi rialzo e scendo dal palco.

Finiscono la scena senza di me. Si avvicinano il Secco e Virginia. La stronza resta più distante. Paolino vuole portarmi a casa sua per offrirmi acqua, caffè o non so che altro. Io dico no. Non voglio niente. Non voglio nessuno. Non mi sono mai sentito così.

Resto lì qualche istante. Poi ne ho abbastanza di quella gente e mi alzo all’improvviso. Prendo la borsa e di co che vado a casa. Esco e mi dirigo alla macchina. Sento qualcuno correre: il Secco dice che non posso guidare. Poco dopo si avvicinano anche le due donne. Laura si offre di guidare per me. Virginia ci seguirebbe con l’altra. Lo ripete diverse volte, come per assolversi dalle sue responsabilità. Sembrano tutti preoccupati. Ma ci sento solo una grande ipocrisia.

Dico no a tutto. Entro in macchina e vado via. Vado piano e devo fermarmi un paio di volte, prima di arrivare a casa. Nessuno di loro si informa sul mio stato. Arriva solo un messaggio, a tarda notte. È il Secco, chiede se sono arrivato a casa. Non gli rispondo.

Nella stessa serie<< Si chiudeIl sostituto >>

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