locandina dello spettacolo

Esisto. Davvero.

E

Esistere. Per qualcuno basta rendersi conto di pensare per esserne sicuro.
Ci siamo visti per la prima volta nel mondo reale, dopo aver scambiato molte parole via blog. Mi avevano conosciuto solo come VQ, fino a quel momento e quando mi sono presentato: “Ma allora sei vero!

Il viaggio a Genova l’avevo deciso da tempo. Quando si è presentata l’occasione dello spettacolo teatrale, ho scelto anche la data. Ho chiesto a Vittorio di accompagnarmi e ci siamo organizzati.

Il viaggio tranquillo, qualche difficoltà a trovare parcheggio, ma nulla di fuori dall’ordinario. Arriviamo al B&B e suono il campanello. Nessuno risponde. Al terzo minuto d’attesa, telefono. Squilla, due volte, quattro, otto squilli. Niente. Ho anche un numero di cellulare. Risponde un tizio:

“Sto arrivando, sì, arrivo, cinqueminutiessonollì.”

Cinque minuti ed è lì. Entriamo. L’appartamento è in un edificio che dimostra almeno una sessantina d’anni, ma ben tenuto. Siamo al terzo piano e non c’è l’ascensore. Non ci avevo fatto caso, ma il tizio sta descrivendo nei minimi dettagli l’abitazione. Il dettaglio dell’ascensore è tra la “signora anziana” che viveva lì e il “non lasciate nulla di valore in evidenza nella macchina” (raccomandazione valida un po’ ovunque… da dove crede che veniamo?).
Gli scalini del palazzo sono lisci e ondulati dall’uso. Forse sono più di sessanta, gli anni. In casa è tutto pulito, confortevole, tranquillo e completamente fuori moda. Però tutto sommato è meglio di come m’aspettassi. Pagamento anticipato, registrazione ospiti, ricevuta e “a che ora pensate di andar via”. Dormiamo, facciamo colazione e poi via.

***

Il tempo di una rinfrescata e andiamo a cercare da mangiare. Ci accontentiamo di un panino e andiamo al porto. Visitiamo l’Acquario e ne usciamo tre ore dopo. Ormai è ora di andare a cercare il teatro. Per la cena, suggerisco di aspettare dopo lo spettacolo. Tiriamo fuori le mappe stampate e ci avviamo.

Tra le proteste di Vittorio, che come navigatore faceva schifo, a un certo punto ho fermato la macchina, ho guardato la cartina, ho capito dove fossimo noi e dove la nostra meta. Ho detto: “Ora facciamo a modo mio” e sono ripartito fidandomi del mio senso di orientamento.
Ho parcheggiato più o meno vicino. Vittorio mi guarda. Accenno a un interrogativo.
“E adesso? Da che parte?”
“Di là”

Sono partito meno sicuro del mio tono. Vittorio mi ha seguito continuando a guardare la mappina. L’insegna del teatro è apparsa quasi subito. Non ma l’aspettavo. Prendi nota: lasciati guidare dall’istinto, quando si fa sentire fortemente.

Siamo in leggero anticipo. Ritiriamo i biglietti e andiamo a prendere un caffé poco lontano. C’era vento forte e c’era freddo. La signora del bar ostentava una scollatura ai limiti dell’oltraggio al pudore. Prendo un thè freddo. Torniamo in teatro.

Osservo ogni dettaglio del “Garage”, come si chiama questa piccola sala, conto e riconto i fari, osservo gli oggetti sul palco, percorro con gli occhi le giunture tra le assi di legno, la disposizione dei sedili, la finestrella della sala regia.
Immagino i mixer, le note scritte sul copione, la trepidazione di chi ha lavorato per la messa in scena, l’emozione di chi sta per entrare. Il tremare leggero delle gambe, l’attesa per l’oscurarsi della platea, il sussurro del via libera, l’accendersi dei fari, i primi passi di fronte al pubblico…

Locandina A 2 all’ora Lo spettacolo è un monologo ben recitato che unisce testi di due autori assai diversi in un’unica storia. Una sperimentazione che va bene in questo genere di circuiti, per un pubblico che è in grado di apprezzarlo, ma per funzionare nei teatri più grandi è necessario scrivere in maniera meno elitaria.

Vabbè, alla fine mi sono avvicinato timidamente per salutare e presentarmi. Ciao, io sono Viqqù. E mi hanno acclamato per farmi sentire la mia esistenza. Quella che è cominciata così è stata una bella serata e il primo atto è stata la cena insieme dopo lo spettacolo.

Dopo la cena ho guidato per mezz’ora solo per il gusto di vedere la città di notte. Quando Vittorio s’è convinto che ci fossimo persi, siamo tornati.
Non ho dormito quasi per nulla. Temperatura altissima, Vittorio dall’altro letto che russava fragorosamente, il cuscino senza alcuno spessore… Fino alle sei ho continuato a leggere un libro, finché mi sono spento: doccia alle nove, colazione e rapida visita al centro di Genova.

A ora di pranzo abbiamo ritrovato alcuni degli amici della sera prima. Con Ema abbiamo assaggiato la famosa focaccia e abbiamo fatto una passeggiata vicino al mare. La stanchezza del giorno e della notte mi aveva reso meno vivace. Tutto il resto è autostrada, Vittorio che dorme, la radio che gorgheggia e io che esisto veramente, guido.

2 commenti su “Esisto. Davvero.”

  1. ma che bello 🙂
    io ti ho letto un po’ questa mattina e ho ripensato alla voce che ti tremava quando sei andato a presentarti all’autrice: io non so se avrei avuto quel coraggio…ed è stato proprio bello incontrarvi, una bellissima sorpresa! (e mi dispiace di essere dovuta andare via presto) 🙂

  2. con pauroso ritardo mi unisco all’amato bene e ti dico che la tua è stata proprio una bella sorpresa. e un bell’incontro. ricambio la familiarità istintiva… fosse che somigli a kevin smith? 😀

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