Domenica pomeriggio sonnacchiosa, nel dopopranzo a casa dei miei. Uso il tuner TV del portatile per girare i canali. Nel quasi dormiveglia forse mi fermo a guardare qualcosa. Sto apettando il momento del caffè per riprendermi dal ragù, ma suona il telefono.
Scatto in piedi, improvvisamente sveglio, mi chiedo chicazzè. Sul display c’è un numero che non conosco. Boh, rispondo. “Pronto!?”
Sento una voce che parla velocemente e capisco pochissimo, non so se per la velocità, del mio stato semiletargico o dal tono acuto e impastato di quella voce, distinguo soltanto poche parole, mamma, nostro, fili.
Un po’ stordito rispondo: “Fili?”
La voce, che ancora ignoro a chi appartenga, dice “Tu hai dei cavi, dei fili, che sono nostri, sono miei e ne ho bisogno. Vengo a prenderli. Sei a casa?”
Capisco meno di prima. La voce è di una donna di mezz’età. Provo a chiedere con chi sto parlando e di cosa. Lo faccio lentamente, sperando che dall’altra parte si cominci a rallentare quel torrente furioso. Per farlo, devo reprimere l’irritazione per quel modo maleducato, sbrigativo e violento di telefonarmi di domenica pomeriggio senza presentarsi.
“Sono la mamma di Laura, hai presente? Ora fai finta di non capire?”
L’irritazione è ancora maggiore. Lei ripete il nome e il cognome di sua figlia. Lo dice come se fosse ovvio che dovessi aspettarmi quella telefonata. Assume addirittura un tono offeso per dovermi spiegare chi è.
La codardia di Laura l’ha spinta a coinvolgere sua madre, spiegandole evidentemente chissà quali e quante calunnie diffamatorie su di me.
La signora sbraitante al telefono, intanto, sta urlando che io avrei a casa mia alcuni non meglio specificati cavi, fili, o cose del genere che le appartengono. “Li ho comprati io, e mi servono…”, “Li hai portati via tu dopo l’ultimo spettacolo…”
Resto calmo e le dico che no, non ho niente del genere. La mia certezza assoluta deriva dal fatto che tutto il materiale elettrico usato dalla compagnia è stato appositamente acquistato e assemblato da me. Dopo l’ultimo spettacolo ho portato via gli oggetti che spettava a me portare via. Ho i microfoni e gli oggetti che mi appartengono. L’unica prolunga non mia è quella di Paolino, che l’ha dimenticata nella mia auto.
L’ottusa maleducata al telefono, forse incitata dalla figlia, non ascolta quello che dico e continua a insistere sui presunti “fili”. Cita anche “costumi” urlando e mi chiede “Sei a casa, adesso?”
Ho la fortissime tentazione di rispondere a tono “Sono cazzi miei”, ma resto educato e dico che no, non sono a casa.
“Ah, non sei a casa? Bene, allora prepara tutto che nei prossimi giorni vengo a prenderli. Ti chiamo prima di passare.”
E qui mi chiude il telefono in faccia.
Educazione di mamma.
***
Ha scassato le palle.
Laura può sempre chiamarmi per metterci d’accordo. Non ho mai rifiutato di risponderle. È lei che continua a rifiutarsi senza motivo. E adesso fa una clamorosa figura di cacca coinvolgendo sua madre.
La vecchia, chiami pure. A casa mia non entra e io non ho i suoi cazzo di “fili”. Se sua figlia a trentaquattro anni non ha il coraggio di affrontare una telefonata per recuperare quelli che sostiene essere oggetti che le appartengono, dovrebbe avere almeno il buonsenso di lasciarmi in pace. Del resto ho ancora qui il messaggio con cui dice di tenere i costumi “per ricordo”.
Se questa me l’avessero raccontata, avrei faticato a crederci. I fili… mah… secondo me erano ubriache tutte e due.
***
Il sonno di poco prima è svanito. Sono nervoso. Chiamo Andrea per raccontargli l’episodio. Lo sveglio nel mezzo del suo riposino pomeridiano. Commenta e mi dice che anche lui ha qualcosa da raccontarmi, ma non ora: torna a dormire.
Prendo un caffè e mi distraggo con un libro di fantascienza. Rileggo “Mastodonia” di Clifford Simak. Guidare mastodonti verso valle per fuggire dalla carica di un branco di triceratopi è un’attività rilassante, oggi pomeriggio.


…e poi?
Poi ti sei svegliato, giusto?
Stavi solo dormendo e facendo un incubo, immagino!
No, perché nella realtà queste cose non potrebbero mai accadere… non tra persone normali almeno!
Si sta bene a Mastodonia… Guardo la copertina del numero di Urania su cui è pubblicato quel romanzo: è dell’agosto 1985 e raffigura un ipotetico dinosauro che stritola sotto la sua zampa un autobus… O un camper, non si capisce bene.
Si sta bene a Mastodonia… Si sta bene anche perchè, passeggiando di lì con irritanti e querule postulanti di fili, può capitare di vederle finire sotto qualche provvida zampa…