Le realtà irreali

Nel ventunesimo secolo, gli uomini negano di avere sentimenti. Il “maschio” è forte, non soffre, non cede e “non deve chiedere mai”, come in una vecchia pubblicità sessista. Questa l’idea di fondo dietro molti dei commenti ricevuti dal mio racconto.
Dicono che un uomo che prova emozioni sia irreale, una cosa “di altri tempi”, che non ci sono uomini che soffrono per amore. Che cazzate.

Il mito dell’uomo forte è un falso costruito dal fascismo e perpetuato dalla cultura misogina in cui siamo immersi.

La verità è che se avete problemi a parlare di ciò che sentite, avete un problema che vi impedisce di essere uomini. Finché non riuscirete a mostrarvi sensibili, non diventerete adulti.

Nascondervi dietro una ipocrita esibizione di forza, di sicurezza, di violenza, di superiorità, non vi rende migliori. Vi rende ridicoli. Per non parlare di quelli che se ne escono con un “è roba da gay” che rivela quale sia la vera paura del tizio che lo scrive.

Virginio vive un momento particolare e io lo racconto. M’interessa capire cosa farei io al posto del mio personaggio. Lo racconto interpretandolo come uno dei miei personaggi in teatro. Come un copione che non esiste, che scrivo mentre lo recito.

Potrebbe essere la storia di ciascuno, perché tutti abbiamo provato quelle emozioni. E comunque siano finite (o non finite) le nostre storie, la cosa più importante è che le abbiamo vissute ed esse ci hanno cambiato.

Voi avete mai raccontato le vostre storie? Trovate dentro questa frammenti di ricordi? Leggere altre storie vi riporta a quel tempo, vicino o lontano, della vostra esperienza?

Scrivere è un po’ scoprirsi. È mostrare un pezzo di sé senza difese, di fronte a lettori a volte spietati. Le parole che scegli, le frasi che componi, i pensieri che esprimi, ti espongono. Puoi raccontare di persone e cose assai lontane da te, ma lo fai sempre con la tua voce. E quando trema, sei tu che stai tremando, non le tue invenzioni.

Per questo, Virginio sono io in un certo senso. Se non lo fossi, non potrei raccontarlo in prima persona. E andrò avanti a modo mio, finché continuerò a sentirlo come un attore sente il personaggio. Poi, semplicemente, il racconto finirà.

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