lungo tavolo apparecchiato

Teatro – note sulle cene del dopo-spettacolo

Durante l’ultimo anno con la vecchia compagnia – la prima, dove sono stato nove anni – restare insieme dopo lo spettacolo era diventato impossibile. Eravamo in quindici, ma quasi tutti, scesi dal palcoscenico, raccoglievano le loro cose e andavano via, lasciandoci in pochi a smantellare. È segno che il gruppo non c’è, è il preludio alla disgregazione.
Quando si rimane sempre in due o tre a smontare la scenografia, prima di una birra a mezzanotte, serve ricominciare da zero, o quasi.

Tentai una rifondazione. Nell’ultima stagione presi io in mano le operazioni, soprattutto per l’inazione degli altri. Ho cercato, tradotto e adattato un testo, chiamato una regista, parlato con gli attori, uno per uno, e cercato di coinvolgere tutti nell’allestimento.
Dopo otto mesi di prove, li ho lasciati dov’erano per ricominciare altrove. Quando qualcuno arriva con quaranta minuti di ritardo e rifiuta di unirsi alle prove perché “non ne ho voglia”, resta poco da fare.
Avrei dovuto capirlo dall’impossibilità di coinvolgerli anche solo in una pizza insieme.

Qualcosa di simile è successo anche in un’altra compagnia.
In questo caso era a tutti gli effetti la mia compagnia. L’ho creata con una “socia” che successivamente s’è rivelata un aipocrita senza scrupoli. I dopo-spettacolo erano diventati una tortura, prima che si fermasse tutto.

La cena insieme dopo lo spettacolo è il termometro di quanto sia in salute una compagnia. Se non c’è un legame abbastanza forte per una pizza insieme, non si farà teatro a lungo.

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