Sono arrivato al lavoro con quasi mezz’ora di ritardo, ma avevo avvisato da una settimana.
Esco di casa prima del solito, attraverso l’intera città e cerco parcheggio. Non ci vuole molto perché io questa zona la conosco bene e so dove è più facile trovare un posto. Prendo la cartellina nera, la apro, controllo ancora una volta che dentro ci sia tutto e mi avvio a piedi.
Cammino con passo svelto. Non vorrei esagerare, perché mi darebbe fastidio arrivare accaldato. Entro nel chiostro, dove si affacciano gli uffici, faccio tutto il giro e non trovo quello che sto cercando. Allora vado dentro l’edificio. Chiederò all’usciere. Una scena simile l’ho vissuta circa quindici anni fa.
Oggi va diversamente. Appena entro vedo Giorgio, anche lui mi vede e mi viene incontro.
“Come mai qui?”
Gli spiego sommariamente e gli chiedo quale sia la porta giusta, ché non l’ho trovata.
“Ti ci accompagno, vieni.”
Vado.
In segreteria siamo in dieci, una fila non drammatica, tutto sommato. C’è anche la macchinetta dei numeri, colorata di grigio impassibile. Premo il bottone rosso, fa un rumore di stampante ad aghi e sputa fuori un rettangolo di carta sottilissima troppo grande per ciò che c’è scritto: 435.
Il display sulla parete segna 422. Tredici prima di me. Ci vuole un’ora perché io possa sedermi di fronte all’incaricato e presentargli i documenti. Lui controlla, invia qualcosa alla stampante, una ragazza glieli porta. Sembra che qui lavorino solo persone più giovani di me. Questa ragazza ha un’espressione molto bella. Ha la carnagione scura, tanto da ricordarmi Annie. Questa, però, è più alta.
Mi sono distratto. Il ragazzo che ho di fronte mi sta porgendo dei documenti da firmare. Controllo che sia tutto corretto e firmo. Lui mi consegna una tesserina di cartoncino e comincia a spiegarmi che dà diritto a sconti e altre cose. Lo interrompo: gli spiego che sedevo nel Consiglio di Amministrazione quando questa tessere è stata introdotta all’Università, quindi so già di cosa si tratta.
Lui sembra sollevato di potersi risparmiare la pappardella. La ragazza di prima mi consegna una tesserina appena stampata. Su un lato c’è la banda magnetica e sull’altro c’è la mia faccina piccola.
“È il nuovo libretto.”
Quello cartaceo non esiste più.
La procedura è finita. Mi alzo e faccio un passo. Si sente un biiip. Quattrocentotrentasei.
Ora sono di nuovo una matricola. Uno studente universitario. Primo anno del Corso di Laurea in Bioinformatica. Ora mi tocca studiare per davvero.


Sono molto ammirata.
Buono studio, matricola.
in bocca al lupo…anche se posso gia’ vedere te che esci con la laurea sorridente;)
😀