Venerdì mattina troviamo un impianto luci disponibile a noleggio. Riusciamo a ottenere dagli organizzatori negligenti che siano loro a pagarlo. Al pomeriggio ci dicono che quell’impianto nel magazzino non c’è. Imprechiamo. Le notizie sono incerte. Imprechiamo di più. Sapremo solo domani.
Alla sera vado a vedere uno spettacolo con Laura e due amiche sue. Forse ho guardato più lei che il palco.
La mattinata del sabato passa a cercare materiale per le scenografie. Prendo anche un regalo di compleanno per Linda, consultandomi telefonicamente con Laura. Prendiamo anche delle manette di peluche.
Sulle luci non arrivano aggiornamenti. Io m’incazzo e Laura si assume l’incarico di occuparsi della cosa. Viene pure Paolino il Secco perché conosce gli organizzatori disorganizzati della rassegna.
Nel pomeriggio raggiungo Paolino per lavorare alle scenografie. Quando sono appena arrivato, chiama anche Laura: non abbiamo le luci. Sospendiamo il lavoro e ci riuniamo in città. È emergenza.
Tre ore dopo abbiamo telefonato molto e percorso decine di chilometri, ma abbiamo una soluzione sufficiente nei pressi del luogo della rassegna. Una soluzione completa la troviamo in città: è più costosa e si deve aspettare lunedì per un preventivo preciso.
Sabato sera sono ancora con Laura a vedere uno spettacolo all’aperto. È la prima volta che siamo soli da due settimane. Lei è nervosa, forse lo siamo entrambi. Non guardiamo granché: discutiamo quasi tutto il tempo sui problemi da risolvere prima del nostro spettacolo.
Laura passa buona parte del secondo tempo al telefono con Paolino per il merdone con le luci.
Alla fine salutiamo il regista, mio amico, e alcuni degli attori con cui ho recitato in passato. Dopo andiamo a casa subito, senza scambiarci una parola.
L’indomani mattina ci sentiamo e ci vediamo da Paolino dopo pranzo per lavorare alle scene. Io sono là da quasi un’ora quando arriva. Gli attori arrivano più tardi e proviamo fino alle sette. Quando vanno via, noi tre prepariamo il pacchetto del regalo per Linda. Compongo alcune rime per il biglietto d’auguri, Laura le ricopia sul biglietto. Poi ci prepariamo per andare alla cena di compleanno.
Il vestito di Laura è di un curioso color verde, tra lo smeraldo e il cimice. Distolgo la sguardo ed evito commenti.
Alla cena siamo in cinque. È una specie di rimpatriata. Beviamo un po’ e parliamo a ruota libera. Forse rido troppo. Sicuramente dico troppo a Paolino. Dice che ha visto qualcosa di strano nel mio comportamento. Non gli chiarisco le idee.
Quando andiamo via ho l’impressione di dover dire qualcosa. La notte che attraverso è un lungo tubo senza luci di scena. Mi sveglio alle cinque.


Ti ritrovo nelle tue parole, dopo tanto tempo, e con gran piacere.
Ricordando quando, seduti ad un tavolino al bar di Jean, mi permettevi di leggere le tue poesie sui tuoi taccuini dalla copertina rigorosamente nera.
E quelle volte che provavamo a improvvisare a due mani con la tua stilo.
E tra un verso e l’altro, le battute con gli altri amici, un sorso di birra ed un tiro a freccette.
Più matura di allora la tua scrittura e qui ancora più intima… chi non ti conosce può stentare a credere che tu scriva così, di getto.
Mi adeguo volontariamente e con piacere alle tue convenzioni e mi firmo con la sola iniziale.
Un abbraccio nel ricordo di F.
I taccuini sono arrivati dopo, per le trascrizioni. Allora avevamo fogli volanti a quadretti, piegati in quattro, logori e scuri a forza di stare in tasche affollate. Qualcuno è sopravvissuto. Conservo quattro paginette in prosa che realizzammo a sei mani, con F., passandocelo tra le macchie di birra e le gocce di condensa sul tavolo di legno grezzo del locale con l’armatura e le spade alle pareti. Con gli occhi a vagare tra l’inchiostro che si spandeva, i parpagli e i sedanini, i numeri pari sempre crescenti e l’immaginazione al galoppo. Hyep-aaah!