La stronza continua a escludermi dalle decisioni che riguardano la compagnia teatrale. E io non ci riesco. Non posso accettare d’esser messo da parte nella compagnia che ho contribuito a creare. Ha un sapore amaro di presa in giro.
Laura è la presidente, senza che siano mai state svolte riunioni dei soci e tantomeno regolari elezioni. Lei dice che l’associazione culturale è “sua”. A me non interessa ricoprire cariche sociali, sono solo parole, inchiostro secco su un foglio bianco: ma quando due anni fa abbiamo cominciato a costruire questo gruppo c’eravamo soltanto noi due con una idea. L’associazione, esisteva già, certo, anche se da anni ormai era ridotta a un nome, senza soci. Laura era presidente di un pezzo di carta, prima che arrivassi io.
Io ho scritto il testo, ho portato le persone, procurato i luoghi di riunione, progettato e costruito la scenografia, trovato gli oggetti di scena, acquistato le attrezzature audio/video, anticipato le spese, inventato l’organizzazione di manifestazioni, sostenuto la promozione e lavorato per superare tutti gli ostacoli che abbiamo affrontato, per costruire quella che ora è una compagnia teatrale.
Non è “sua”.
Quello che esiste oggi è frutto del lavoro e della passione sua e mia. Io ho creduto alle sue parole, quando lei aveva bisogno di me. Ci siamo soprannominati l’un l’altra ‘socio’ e ‘socia’, abbiamo disegnato e ridisegnato progetti, aggiungendo o cambiando i particolari ogni volta. Ho creduto alle sue parole quando diceva che la mia idea di teatro avrebbe avuto spazio. Che avrei diretto i miei spettacoli.
Ripete sempre più spesso che “la compagnia è mia”. Adesso che il suo obiettivo è raggiunto, adesso che la compagnia esiste e fa spettacoli, mi ha cancellato. Senza il mio lavoro, sarebbe ancora a casa, da sola, con una compagnia teatrale morta, inchiostro secco su un pezzo di carta. Però sono diventato uno dei tanti. Valgo quanto vale l’ultimo arrivato. Io non lo accetto.
Non posso nemmeno parlare con lei: è inutile. Ormai so come fa: finge di darmi ragione, poi solo in parte e infine mi scatena addosso rabbiosamente frasi sconnesse come fossero prove del contrario. Io non rispondo. Non voglio litigare, né pretendo qualcosa che non mi spetta. Non mi interessa.
Ha assegnato le cariche sociali a sua sorella e sua madre, per evitare che ci fosse qualcuno fuori dal suo controllo. Le riunioni dei soci per approvazione del bilancio sono del tutto fittizie. Perfino le iscrizioni all’associazione sono false. Insomma, sta commettendo una serie molto lunga di abusi, contando sulla mancanza di controlli. E ha buon gioco a comportarsi in modo inaccettabile. Cosa dovrei fare, denunciare?
Se osservo la cosa con la dovuta distanza, mi sembra tanto meschina che non vale nemmeno la pena reagire. Per cosa, poi? Restare nella sua stessa compagnia con la forza?
Le ho scritto una email, lunga ma essenziale. Per lei sarà di certo sgradevole, ma preferisco andarmene dopo aver fatto la cosa giusta, piuttosto che restare tacendo e fingendo che vada tutto bene. Non ho usato giri di parole: mi fidavo e ho sbagliato a farlo; credevo in una amicizia che probabilmente da parte sua non c’è mai stata: questo è diventato un problema serio che riguarda tutta la compagnia. Un problema che ha creato lei e io sto subendo. Tocca a lei cercare una soluzione oppure no. Non me ne frega più un cazzo.
Domani sera ci vediamo per le prove e sabato si va in scena. Ma quel che succederà da oggi non si può prevedere. Oppure è inevitabile.

