Il pubblico nel guardaroba

Voglio cambiare il mio guardaroba.
Voglio un nuovo vestito, qualche camicia, un paio di giacche. Almeno una nera. E pure un paio di cravatte, anche se le uso molto raramente.
L’immagine che ho di me è cambiata. Adesso non mi somiglio abbastanza.

È successo lentissimamente, a passi brevissimi, incommensurabili. Ci si sposta da sé alla velocità dei continenti. All’improvviso, non ti ricordi quando è comparso quell’oceano: sai solo che prima non c’era.

Scrivere di certe emozioni, provarle insieme ai personaggi, riusarle in teatro, scoprire che in qualche momento degli ultimi dieci anni hai imparato a scrivere testi teatrali e anche a raccontare. E all’improvviso decidi che vuoi lasciare il lavoro che fai da quattro anni per andare avanti. Perché vuoi di più. Quello che allora era un traguardo, oggi è una stazione di passaggio verso altri luoghi.

Nel confronto col pubblico, durante gli spettacoli, vivo la vita del mio personaggio Virginio, in qualche modo. Ne indosso i panni e la personalità, imparo la sua lezione e poi via daccapo. Si cambia un po’, ad ogni replica, ad ogni nuovo racconto, senza rendersene conto.

I costumi di scena passano. E io devo cambiare il guardaroba.

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