Erano gli occhi che ricordavo, quando mi fu presentata. Non il colore, un azzurro non chiaro, ma il taglio quasi orientale, sapientemente evidenziato dal trucco.
Li ricordavo, quegli occhi, ricordavo anche la mattina in cui li vidi per la prima volta per caso, per strada. Lei si chiamava Zeudi, io la chiamai coincidenza, quando trovò posto proprio di fronte a me, più tardi, in un’aula studio, e mi disse il suo nome.
L’autunno spingeva via l’estate. Quella estate mi aveva lasciato un nastro registrato con la mia voce e la chitarra di Pasquale e le mie poesie e il mare. Quel giorno l’avevo con me, Zeudi mi chiese di ascoltare.
Mi sorprese vederla commossa. Sussurrò “bellissime”. Mi chiese di leggere ciò che avevo scritto. Superò con la costanza e la dolcezza le mie resistenze.
I quaderni su cui scrivo sono cose personalissime. Nessuno aveva mai ottenuto di sfogliarli. Sul primo, quello rosso, scoprii una piccola nota, aggiunta a matita da Zeudi, poche parole con cui mi dichiarava il suo amore.
Non mi sorprese del tutto. Eppure mi pareva che le cose si fossero evolute troppo velocemente in un rapporto così stretto, da che eravamo semplici sconosciuti. Le sue attenzioni, il voler essere sempre presente, mi lusingavano, ma era tutto così incontrollabile e oppressivo che non ci fu spazio per conoscerci davvero. Non riuscivo a vivere con la necessaria partecipazione questa storia.
Ci fu un viaggio in treno. Una giornata passata insieme che forse fu stupenda. Non ne ricordo che il ritorno. Nel treno affollato, trovammo una sistemazione tra uno scompartimento e l’altro, vicino alla porte. Nel gioco del tenersi stretti ai sostegni, ci tenevamo stretti l’uno all’altra. La sua mano poggiava sulla mia carezzandola. Sentivo che quel legame non lo volevo. Cominciai a pensare come scioglierlo senza farle male.
Non sono fiero di quel che accadde poi. Certi miei impegni istituzionali sopraggiunsero, li usai come alibi per allontanarmi senza doverle parlare. Come uno stronzo vigliacco. Non mi sono mai assolto per quel comportamento.
Ci siamo persi di vista, poi, definitivamente. Per molto tempo non ho saputo nulla di lei. Finché ho riconosciuto quegli occhi e lei è stata con me molto gentile, regalandomi parole molto belle, che non credo di meritare. Non cambiare mai, resta come sei, mi ha detto.
Di recente ci siamo incontrati per caso, in un grande negozio. Lei lavorava là come commessa. Un saluto formale, un come stai, bene e tu, e io che ancora oggi mi sento imbarazzato e colpevole di fronte a lei, non so evitarne gli occhi, e lei che mi ha applicato lo sconto sul prezzo da pagare.
