Veni, dixi, abii

Ho deciso, oltre ogni dubbio.
Arrivo al lavoro che il capo sta parlando col mio collega delle uscite di assistenza programmate oggi. Saluto, vado nel mio ufficio, accendo il piccì. Nel frattempo il mio collega torna alla sua postazione.

Se ci sto a pensare finisce che non lo faccio. Mi alzo e vado dal capo. Hai un minuto, gli chiedo. Certo, dice. Comincio a spiegargli di quello spettacolo che dicevo poche settimane fa: è venerdì e ho bisogno del pomeriggio libero. Va bene, dice lui. Poi comincia subito a spiegarmi di un lavoro che il cliente ha chiesto per oggi: dovrei scrivere l’intero manuale di un software che sto sviluppando e non ho ancora rilasciato. Folle.
Vabbè, senti, gli dico, io comincio a lavorarci, ma così il programma lo rilasciamo in ritardo.

C’è un’altra cosa, gli faccio: a fine settembre ho una missione di scavo dell’Università, per archeologia, e ci saranno altri spettacoli. Va bene, dice lui.
Oh, e poi, gli faccio, dal primo di ottobre penso che non lavorerò più qui.

Lui mi guarda. Tace. Forse pensa che non ha capito bene. Gli esce un “va bene” che è il cugino sbiadito di quelli di prima.

Mi chiede come mai.
Gli dico che il motivo è quello che gli ho manifestato nove mesi fa. E sei mesi fa. E anche il mese scorso. Se le cose non cambiano, i problemi non si risolvono. Non arrivo alla fine del mese e non c’è alcuna possibilità di un aumento. Da mesi mi chiedo che senso abbia lavorare per una paga da fame. E così fatico il doppio e rendo la metà.

Lui chiama il suo socio: “Vieni qui un attimo, vieni a sentire”. E viene a sentire. È seduto alla mia destra e non dice una parola. Guarda fisso davanti a sé. Deve aver saltato il caffé stamattina. L’osservo. Magari ha aggiunto qualcosa nella tazzina. Se avesse gli occhi chiusi giurerei che si sia appisolato. Poi, fissando il muro alla sinistra del suo socio, fa un minimo cenno di assenso. Mi viene da ridere, ma mi trattengo. Barba incolta, sopracciglia e capelli dritti, somiglia all’anello mancante tra una spazzola d’autolavaggio e un porcospino. Il maglione rosso è l’unico elemento umano. Ho lavorato con questo tizio per quasi cinque anni. Incredibile.

L’altro, il socio sveglio, mi propone di restare con loro finché non avrò trovato un altro lavoro. È incerto. Per la prima volta mostra di aver perso la sua sicurezza.
No, gli dico, mi sembra scorretto lavorare in questo modo. A me farebbe anche comodo restare, ma sarei scorretto, visto che non avrei alcuno stimolo a fare un buon lavoro. Meglio chiudere qui.

Quando sono ispirato parlo molto bene.

Dice che gli dispiace perché mi stima come persona. Evidentemente la stima è per difetto, visto quanto mi paga. Quest’ultima considerazione la tengo per me.

Torno al mio posto e comincio, leggero, il mio lavoro. Ho ottenuto tutto quel che chiedevo senza dover insistere o minacciare. Gli argomenti li avrei avuti, in tal caso. Dieci minuti dopo mi raggiunge chiedendomi una lettera di dimissioni. Il suo contegno tradisce una specie di senso di colpa. Va bene, gli sico, te la porto domani, o dopodomani, appena ho tempo.

Più tardi torna in ufficio e mi chiede ancora di spiegargli perché me ne vado. Gli ripeto quanto ho già detto, aggiungendo qualche dettaglio per colorire meglio la descrizione.

Torna di là e lo sento chiedere alla segretaria di chiamare l’Università e cercare eventuali neolaureati. Dopo poco viene a dirmi che vuole assumere qualche giovane per sostituirmi. Dico che forse conosco qualcu… ah, no, mi sa che ha già trovato un buon posto. Dentro, sorrido.

Per tutta la mattinata sento la segretaria ripetere la stessa litania al telefono: “salve, siamo una ditta che si occupa… abbiamo avuto il suo recapito dall’Università… se fosse interessato ad un colloquio… “. Pochi, però, quelli interessati.

***

Vado via per pranzo. Mentre sono fermo al semaforo, mi si affianca un biruotato e mi saluta. Fatico a riconoscerlo col casco. È uno studente di archeologia che ho conosciuto l’anno scorso.
– Come va?
– Bene! Mi sono appena licenziato e ne sono contento!
– Punti di vista. Vieni allo scavo la prossima settimana?
– Guarda, farò qualche giorno, ma non ho deciso ancora quando”

Il semaforo diventa verde, saluto, saluta, via. Ho fame.

3 commenti su “Veni, dixi, abii”

  1. Ho sempre pensato che avrei agito allo stesso modo, ma solo se avessi vinto uno sproposito al Superenalotto?
    Se questa fortuna è capitata a te: complimenti e… vuoi mica il mio numero di c/c per un versamento? Grazie.
    Come è andata ieri pomeriggio con L.? Aggiornaci.

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