gioco delle freccette

Storie stocastiche. 9. La carota

Foto: SimonaR (Pixabay)
Foto: SimonaR (Pixabay)

“Esco a fumare”.
E tu resti solo. Misuri quanto può durare una sigaretta. Sposti il tovagliolo che hai sulle ginocchia. Lo appoggi sul tavolo. Cominci a ripiegarlo. Lentissimamente.
Esce a fumare. Ma ne siamo sicuri? Il sospetto che era nascosto tra le verdure grigliate, adesso è una sciarpa annodata stretta.

E tu resti a bere quel che resta del vino. A piccoli sorsi. Se finisce, non ti resta altro per dissimulare l’imbarazzo. Dagli altri tavoli cominciano a lanciare occhiate. Ti senti una carota piantata in una torta. Fuori posto e vestita di arancione acceso. Poi lei ritorna, come se niente fosse. Sorride, perfino.

“Ma no, hai fatto presto.”
“Figurati, non mi ha dato alcun fastidio”
“Prendiamo dell’altro vino?”

Indossi il sorriso più intelligente che hai. Quelli sereni li hai finiti due bicchieri fa.
Vi scambiate bugie reciproche, strategie sociali per non azzannarvi alla gola. Chiudi un occhio, fai una giravolta, ingoia amaro, fallo un’altra volta e voilà: così si vive felici e contenti.
In fondo cosa sarà mai. Rinunciamo a qualche desiderio, ci accontentiamo, ci convinciamo che in fondo era questo che cercavamo. Spegni gli allarmi e nascondi la scatola dei pennelli in fondo all’armadio. E no, non ho mai sognato di dipingere.

L’ipocrisia è una santa cosa.
Ti permette di adattarti a ciò che la gente si aspetta. Nessun conflitto, nessuna discussione. Annuisci, bevici sopra e morta lì.
Mica come quando dicevi sempre la verità e ti davano del bugiardo, manipolatore, paranoico. E poi restavi solo.

Nella stessa serie<< Storie stocastiche. 8. PiterStorie stocastiche. 10. Jano >>

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