Le estati marziane. 5. Valeria

Con Valeria si poteva giocare. Valeria era spensieratezza, come tornare bambini. Come le gite fino allo stagno a cercare forme di vita, e poi al fiume per toccarsi il viso, con la scusa di pulirsi dal fango. Scherzavano con le reti abbandonate e con le sanguisughe, si lasciavano spettinare e si prendevano in giro.

Correvano tra le dune ed il mare. Valeria era vestita di arancione. Finse di cadere e Mino finse di scivolarle al fianco. Tienimi, cado. Guarda che hai fatto. Ho la sabbia nei capelli. Aspetta che t’aiuto. Ahi, le spine, ma cos’è?
L’importante era star soli al momento del tramonto. A giocare con uno scarabeo mentre parlavano. Toglimi per favore la sabbia dagli occhi. Guardami. Ce l’ho ovunque. Guardami. Qui, vedi? Vieni più vicino. Non facciamoci vedere.

L’imbarazzo cercava di fermarli, ma per loro andare oltre era una sfida. Oltrepassare i confini era un gioco: alt, chi siete, cosa portate, un sorriso. Bruciarono come un campo di sterpaglie secche. Poi restarono solo frammenti anneriti nella memoria. Il colore di un vestito, l’odore di Valeria, una rana.

Mino non vuole ammetterlo, ma un po’ gli manca quell’incendio.

Nella stessa serie<< Le estati marziane. 4. AnitaLe estati marziane. 6. Elena >>

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