La prima domenica di marzo

DSC_2735-Consonno-180814-407 A Nay sembrava d’essere uscito da dentro un traforo. Talmente lungo da scordarsi che esiste un fuori. Hai presente quando ti svegli presto e non prendi il caffè e per tutto il giorno sei annoiato e pigro, e ti lasci vivere la giornata addosso? Ecco, la giornata di Nay era duarata due anni.

Prendi un artista, uno che scrive, dipinge, recita o canta o fa le fotografie. Se vuoi fargli la peggiore bastardata possibile, strappagli via la voglia di creare. Allontanalo dalle cose che gli rendono la vita piacevole.

Nay aveva avuto a che fare con una intera mandria di zotici, lavativi e ipocriti. Quei fottuti bastardi gli avevano reso talmente insopportabili le prove del suo stesso spettacolo da costringerlo a smettere del tutto col teatro. Era il 27 luglio del 2012, la vigilia dell’ultima replica. All’inizio dell’ultima prova generale Nay uscì furioso dai camerini urlando vaffanculo.
Siete fortunati se domani sera mi vedete, aggiunse.
Caricò in auto le sue cose, mise in moto e sparì.

Nay avrebbe potuto ricominciare subito, in un’altra compagnia, senza difficoltà. Ma non aveva più voglia di ricominciare. Nuovi compromessi da accettare non ne voleva. Ormai non era più solo un attore. Scriversi il copione da solo, avere voce in capitolo per le regie, mettere il naso nella gestione della compagnia erano aspetti quasi irrinunciabili. Soprattutto per il livello pateticamente provinciale di quei registi e di quei gruppi improvvisati.

– Dovessi mai tornare sul palcoscenico – si diceva – probabilmente sarebbe con un monologo oppure come regista. Così nessuno mi rompe i coglioni sulle decisioni artistiche.
– Oppure ci tornerei insieme a qualcuno con cui valga la pena lavorare.

L’urgenza creativa di Nay si rivolse verso la scrittura di spettacoli: traduzioni, adattamenti di testi antichi, riscrittura di vecchie farse. Ma scrivere non basta, senza pubblico. L’arte è comunicazione. Chi dice di scrivere per sé, è un ipocrita. È come farsi le seghe convincendosi che è più divertente. Patetico poeta del cazzo.

Nay pubblicava. Un racconto al giorno, regalato ai lettori. Componeva frasi, le pesava, le ascoltava. Doveva sentire il suono, l’assonanza tra le consonanti. Nay aveva anche imparato a scattare fotografie. Usciva con altri fotografi, studiava la tecnica, cercava un linguaggio.

Poi, Nay si prese la peggiore influenza degli ultimi quarant’anni. E dopo due giorni di deliri emicranie e dolori articolari, Nay si svegliò con una sensazione diversa, una voglia di fare, creare, realizzare. Era la prima domenica di marzo, c’era il sole, nessun impegno, nulla di urgente da concludere. Nay era libero. Era il 3 marzo 2014: si alzò e uscì di casa.

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