lettore di giornale con scritta CENSORED

Caso La Stampa – io insisto e replico

Spett.le Anna Masera,
la ringrazio per la sollecitudine con la quale ha risposto alla mia precedente.

Tuttavia la sua risposta generica non estingue alcuno dei miei (legittimi) dubbi cha vado a precisare di seguito, commentando le sue stesse parole:

  • la netiquette non era stata rispettata e quei blog contenevano offese nei confronti di persone fisiche, inaccettabili”.

Ho letto tutto ciò che è stato pubblicato sul blog di Marco Giacosa (è tutto reperibile ormai su diversi blog, il che rende la sua censura grottesca) e non mi sembra che siano state usate parole offensive, in alcun modo. A meno che non si ritenga offensivo dubitare della correttezza dei comportamenti tenuti, il che mi pare per lo meno singolare. A questo proposito, dunque le chiedo di precisare cosa in quegli scritti sia stato ritenuto offensivo, inoltre mi piacerebbe capire a chi sia demandata l’interpretazione delle regole della Netiquette, chi sia tenuto a stabilire cosa sia offensivo e per mezzo di quali criteri tale distinzione viene eseguita in modo oggettivo (non sono adoperati criteri soggettivi, spero).
Ma ciò che importa è altro. Ammesso (ma non concesso) che la sospensione dei tre blog sia avvenuta a seguito di una corretta interpretazione delle regole della Netiquette, allora per quale motivo i blog che riportano gli stessi testi e Vi accusano (questa volta sì) di censura, ripetendo gli stessi nomi ed aggiungendone altri, non hanno subito la stessa sorte?

  • Le critiche sono sempre accolte, da noi, se espresse in modo civile”.

Che cosa si intende per accoglimento? Il prendere atto ed ignorare? Oppure il rispondere altrettanto civilmente? Ed in questo caso per quale motivo di risposte chiare c’è penuria, al punto che mi trovo qui a scrivere per ottenerne?

  • “Avere un blog su LaStampa.it non è un diritto, ma un privilegio”.

Non credo che la scelta della parola “privilegio” sia la più appropriata in questo caso. Ma sorvolo su questo dettaglio.
Non prendiamoci in giro, per favore. Per La Stampa mettere a disposizione un servizio di blog su piattaforma TypePad non è un diritto, ma un privilegio. E’ una scelta che non è stata certamente dettata da puro spirito umanistico. Ma la decisione di offrire tale servizio presuppone che ci siano delle regole da rispettare. Da tutte e due le parti.
Io, come utente posso scegliere di usarlo o meno, certo, e se scelgo di farne uso, certamente ne devo accettare le regole. Ma altrettanto deve (e sottolineo il dovere) fare La Stampa. Se ciò che viene scritto non piace, infastidisce, è imbarazzante, non per questo deve essere rimosso. Quando il Suo giornale pubblica illazioni in prima pagina su qualcuno, viene poi rimosso dalle edicole? O ad essere rimosso è il redattore che ha scritto il ‘pezzo’? Se quei post avessero riguardato, per esempio, La Repubblica, oppure il Corriere della Sera, i blog sarebbero stati ugualmente sospesi? Mi permetta di dubitarne.
Mettere a disposizione un servizio di blog vuol dire anche accettare tutte le idee che vi saranno espresse, nel rispetto della legge. Se La Stampa non è disposta a discutere con gli utenti, può anche fare a meno di offrire il servizio.

  • un giornale che ha delle regole deontologiche da rispettare“.

Un blog non è un giornale, le idee espresse nei blog ospitati (è la parola chiave, non la dimentichi: ospitato) non sono (e non devono essere) quelle del giornale: chi scrive un blog non è un giornalista. Il blog ospitato dal sito web de La Stampa, in altre parole, non fa parte de La Stampa, per cui il riferimento alle regole deontologiche del giornale è francamente senza senso. Diversamente tutti i blogger dovrebbero essere considerati giornalisti, ed al raggiungimento di un congruo numero di post, dovrebbe essere loro aperta la possibilità di accedere all’Albo della professione. Ma credo che questa sia stata solo una scelta espressiva poco felice da parte sua.

  • “Se volete un blog libero senza regole, potete aprirvelo da soli da altre parti, non sui giornali. Ma credo che nemmeno i fornitori di blog puri non abbiano regole, così come ormai nemmeno più i fornitori di Internet: le regole sono quello che distingue la democrazia dall’anarchia”.

Le faccio notare che i blog de La Stampa si appoggiano ad una piattaforma internazionale che non ha nulla a che vedere con il giornale, il quale non è  fornitore della piattaforma TypePad, semmai è vero il contrario. Le regole certamente sono necessarie, e ci sono, ma sono valide anche per chi distribuisce il servizio. Non basta fare appello ad un non ben specificato concetto di democrazia per etichettare tutto quello che non vi si adegua come anarchia.
Stiamo parlando di regole probabilmente non rispettate da La Stampa in un concorso aperto al pubblico. Chi ha scoperto queste irregolarità e le ha rese pubbliche è stato immediatamente censurato: come puo’ parlare di regole e di democrazia?
Io le ho chiesto una spiegazione, ciò non esclude la mia volontà che le regole siano rispettate da tutti, non solo subite da qualcuno. La sospensione è a mio avviso immotivata ed ingiusta e Lei non può credere che sia sufficiente qualche bella parola per legittimare le sue azioni.

  • Stiamo indagando sulle eventuali mancanze o gli eventuali errori nel concorso da voi contestato“.

Quindi anche voi convenite con i dubbi espressi sul concorso oggetto della discussione. Tanto basta a ritenere illegittima la sospensione dei blog.
Almeno fino a che tutta la vicenda sia chiara e senza ombre. E’ certamente nell’interesse de La Stampa evitare pessime figure pubbliche. Per cui è certamente la scelta migliore quella di cessare ogni sospensione finché nemmeno lei è certa di come stanno le cose.
Inoltre, come dimostrato ampiamente dalle indagini di Marco Giacosa, non è necessaria una indagine troppo faticosa per scoprire che qualcosa di sbagliato c’è stato.

  • le chiedo la cortesia di non insistere con questa campagna, davvero faticosa da gestire per me che ho davvero tanto lavoro da fare qui

Il fatto che per lei sia faticoso gestire la situazione può farmi pensare soltanto ad una sua inadeguatezza a svolgere le sue mansioni. La situazione è diretta conseguenza di una sua decisione (è stata lei a deliberare la  censura dei blog, no?), il fatto che io ed altri blogger protestiamo per l’accaduto è segno di quella democrazia che lei invocava più sopra. Io ho il pieno diritto di insistere, proprio perché mi muovo in modo democratico. Se le facessi la cortesia (francamente, pur non avendo motivo di essere cortese) di smetterla, compirei un atto profondamente antidemocratico.
Il fatto che possa essere io a semplificarle il lavoro, oltre che non possibile, dovrebbe considerarlo un privilegio, non un diritto. Se volesse svolgere un lavoro libero e senza regole potrebbe mettersi in proprio e lavorare autonomamente, non sui giornali.

  • Se i blogger che si considerano “censurati” vogliono riprendere a dialogare con la nostra community, dovranno rispettare la nostra Netiquette. I loro blog sono solo sospesi: se tolgono i post offensivi, e moderano i termini delle loro critiche riportandole a toni civili che non insultino alcuna singola persona, saranno ovviamente ripristinati, come a loro è stato più volte detto

Se La Stampa non considera censura l’insabbiamento delle proprie irregolarità non vedo perché i censurati debbano cancellare le proprie parole. Lei sostiene che i post debbano essere ‘purgati’ dai nomi delle persone coinvolte: io le rispondo che La Stampa dovrebbe prima dimostrare di non aver commesso irregolarità.
I membri della comunità web non ‘appartengono’ al sito che li ospita, ma a se stessi, ed hanno le proprie regole e le rispettano.
Vedrà che se le critiche risulteranno infondate le scuse pioveranno da tutte le parti. Ma fino ad ora, con i fatti che danno ragione alla comunità, è La Stampa a dovere delle scuse a tutti.

Quindi, ribadisco e confermo quanto comunicato nella mia precedente e le porgo distinti saluti.

(Firma)

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