poemetto in sei movimenti – 6
Il Resto
I
Le frasi sincere
sono senza metafore.
Capisci, bimbo, capisci,
non lasciano che briciole
al loro passaggio
troppo piccole per essere raccolte.
Rimane il canto
i tentativi
le morti addosso
il Sedersi & Guardare
nelle tasche
nel pane quotidiano.
Resta un pensiero
o fantasia
salvezza eterna o dannazione
metempsicosi
di una realtà tangibile
di una libertà
in mezzo ad una canzone
magia.
Restano litanie
ininterrotte
di vecchie signore
inginocchiate
che si danno il cambio
in un tempo gotico.
Angeli ribelli
un poco feriti
da condizioni avverse
contro dinieghi
da esorcizzare
per potere un giorno
non troppo lontano
se non dormire
almeno riposare.
Restava il canto, dicevo,
oppure il tacere
chiudersi la mente con le mani
sulle orecchie
fatalmente aperte.
II
Io ti aspetto
con il vento a scompigliare
indistintamente
capelli, abiti, incertezze,
alibi, accortezze,
corde tese di campane.
Se tu guardassi
almeno una volta
m’inventerei un cenno,
segreto segnale
per non rispondere.
Fuori di qui
si stanno baciando. Io,
io sono troppo solo per dirti
t’amo
per colpa di una svista.

A chi hai dedicato questo poemetto? (se si può dire…)
Non c’è nulla che non si possa dire, con le giuste parole.
Una dedica? A me stesso. Ed a quel che è stato con L., e con S.; ed a ciò che è rimasto e ciò che è perduto; e poi dell’altro… è complicato da spiegare, ma c’è tutto quello che ho scritto in questi mesi.
Immagini che sono chiare nella mia mente e probabilmente oscure per tutti gli altri.
I titoli sono un ideale percorso metaforico, una traccia di quale sia il senso.
La fatica cieca che si scopre essere stata senza uno scopo, sapore aspro, disperato è il ritrovarsi in una notte senza guida e senza uscita.
Il ritrovare una speranza ed una via nell’attesa del nuovo giorno. Alla luce del sole si vede ciò che prima era invisibile, le ombre hanno corpo.
Finalmente ciò che è stato ha perso la maschera, appare per quello che è, un inganno, una illusione, un imbroglio. Ed io un buffone inconsapevole.
La rabbia che si prova si traduce in una volontà di strappar via le schegge rimaste nella ferita. Sanguinerà e farà male, ma è l’unico modo per cicatrizzare in fretta. Il dolore è tanto forte da impazzire, ma è iniziata la guarigione.
Il rendersene conto è come un solletico, è come ascoltare musica al mattino cogli occhi ancora gonfi, fa bene. Un vento s’alza a portare via il male ed a rinfrescare il bruciore. L’odore è il mare della mia infanzia.
Quando ci si sente meglio, comincia il bilancio di quel che è perso e quel che resta. Ed in fondo ci si scopre sopravvissuti e più forti di prima.
Ecco, più o meno, il senso generale. Grazie per la domanda: mi ha dato modo di spiegarlo. Anche a me stesso.
Grazie a te per la risposta 🙂
Ti scrivo un’email così ti racconto 🙂