Poco prima di mezzanotte stavo disteso e separavo dal fondo scuro del cielo la striscia meno scura della via lattea; e le altre stelle intorno. Nel mio campo visivo era compresa la parte alta di un palo di sostegno del palco, ed il culmine di una delle quinte che avevamo appena montato.
Alla mia destra, il Secco fumava. Più in là stava Laura. Il nostro momento di pace dopo un giorno faticoso. Senza motivi particolari, ho pensato alla fortuna di essere in salute.
Sono arrivato presto, nel primo pomeriggio, da Paolino. Lui dormiva, dopo il pranzo, come i lattanti. Sua madre (vive ancora con i suoi genitori) mi ha fatto un caffè, mentre aspettavo il risveglio del principino.
Suo padre era andato a prendere in prestito un trattore completo di cassone a rimorchio. Ci avremmo trasportato le scenografie fino al palcoscenico. Il Secco si è svegliato appena prima del suo ritorno e abbiamo caricato. Centocinquanta chili di grossi parallelepipedi in legno.
Poi, mentre ci stavamo asciugando dal sudore discutendo sugli altri oggetti da caricare nelle auto, è arrivata anche Laura. M’è parsa nervosa. O forse solo infastidita d’essere in ritardo.
Abbiamo reintegrato l’acqua persa, acquistato altre viti, trasportato il carico sul luogo dello spettacolo, ritirato un piccolo impianto di luci per la prova di stasera. Poi una birra e venti minuti di pausa.
Nel vasto cortile colonico dove avremmo recitato, finalmente era stato montato il palcoscenico del Comune. Soltanto due giorni in ritardo. Ci siamo affrettati a scaricare i parallelepipedi neri dal cassone del trattore. La concentrazione di insetti volanti in quella zona ricorda da vicino la foresta pluviale amazzonica. Appena il cielo ha iniziato a scurirsi ci hanno raggiunto anche le zanzare.
Le quinte erano da riparare. Poi abbiamo dovuto improvvisare un sostegno per l’enorme telo bianco del secondo tempo. I tempi, anche per il fatto che non c’era nessuno degli altri a dare una mano, si sono allungati. Io e Lei abbiamo telefonato agli attori per rimandare la prova di un giorno.
Andre, però, era già per strada, così è venuto lo stesso, ci ha dato una mano, s’è fatto una birra e poi ha salutato.
Eravamo già al buio. Laura è andata a prendere pizze e birre, mentre io e il Secco procedevamo a ritmo più lento per stanchezza, buio e punture.
La cena da accampati, sul palco, è stata quasi muta. Lo sciacquio alla fontanella, sfregando bene le mani, la masticazione, lo sfrigolio dalle lattine. Laura ha avanzato la pizza: c’era troppo olio. Avevamo una fame da luppolo.
Dopo un attimo di terrore nel quale abbiamo temuto di averne rotta una, abbiamo finito di tirar su le quinte. Abbiamo continuato a inchiodare assi di legno fin quasi all’una del mattino.
Poi, la pausa, le stelle. Mezzanotte.
Stando disteso, separavo dal fondo scuro del cielo la striscia meno scura della via lattea; il Secco fumava. Guardavo in alto e provavo una curiosa sensazione di benessere. Guarda, Virginio, la pulizia del disegno, della disposizione di astri. Sentila come un’emozione, non solo uno spettacolo.
***
Riaccompagnato Paolino a casa, ci salutiamo. Io e Laura guidiamo in processione. Lei davanti. All’ultimo semaforo siamo affiancati. Faccio un gesto buffo, lei ride. Una specie di contentezza mi s’espande come un sorso d’acqua. Poi arriva il mio verde, mi volto, si volta, saluto, saluta, parto. Buonanotte.


non so perchè… non c’entra nulla… ma la tua descrizione finale mi ha fatto pensare a una scena del film “I ponti di Madison County”…