La rosa di Gabriella

Era un po’ sorpresa nel risentirmi, sarà che sono passati mesi dall’ultima volta e adesso all’improvviso…

Mercoledì era il quattordici febbraio. Non c’entra niente Sanvalentino e i suoi consumistici attributi pseudoromantici. Mi è solo tornato in mente che esattamente due anni fa io e Gabriella siamo usciti a cena. Non che fosse un evento eccezionale. In quel periodo accadeva almeno una o due volte a settimana.
Quella sera, quindi, per noi era una sera qualunque. Non avevamo nemmeno guardato il calendario. Solo in mezzo alla cena ce ne rendemmo conto, quando qualcuno da un altro tavolo disse qualcosa in proposito. La cosa strana è che sui tavoli del ristorante qualche segno (candele a forma di cuoricino, tovaglioli rossi, fiori…) c’era pure. Ma noi eravamo talmente presi dalle nostre chiacchiere e dal nostro mondo da non notarli.

Ci scherzammo un po’ su, forse con una punta di imbarazzo e di eccitazione. Fu una bella serata, a suo modo romantica, ma soprattutto divertente. La rosa del nostro tavolo divenne di Gabriella. La portò via e la tenne in mano delicatamente finché, mentre tornavamo a casa, mi disse di tenerla lì, in macchina, per ricordare quella sera.

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Mercoledì scorso era il quattordici febbraio. La rosa, ormai completamente disseccata, è sempre là tra il parabrezza e il cruscotto della mia automobile. Così ho desiderato sentirla ancora, Gabriella. Ieri sera le ho telefonato ed era un pò sorpresa di risentirmi.

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Gabriella non ricordava quel fiore. O, meglio, il ricordo si confondeva con quello di un altro fiore che aveva rubato da un bouquet all’Ikea di Brescia durante una delle nostre incursioni. Anche quello l’aveva lasciato nella mia macchina. E c’era rimasto fino alla sua demolizione. E poi non era una rosa. Abbiampo passato al telefono parecchio tempo, rievocando le nostre uscite memorabili. Una in particolare, va raccontata.

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Era anche questa una semplice uscita per una pizza in un locale dove eravamo già stati altre volte. Al nostro ingresso, la ragazza che ci conduceva al tavolo ci aveva detto qualcosa, ma non ci abbiamo badato più di tanto.
“Oggi al piano di sopra c’è lo spettacolo, per voi va bene lo stesso?”
Ci siamo guardati scambiandoci uno sguardo incerto: “Mah sì… Sarà divertente”
Ho risposto che per noi andava bene.

Al piano di sopra la sala era quasi del tutto piena. Non accadeva spesso. Notai ditrattamente che solo a un tavolo c’erano due ragazzi: a tutti gli altri c’erano solo donne. Anche nelle tavolate più numerose. Non ci badammo e scegliemmo cosa mangiare.

Mentre stavamo attendendo i piatti, le luci si abbassarono e la musica cambiò. Entrarono due uomini, ballando, vestiti con una specie di divisa nera di pelle. È stato qui che abbiamo cominciato a capire. Era l’otto marzo e quelli erano… I due si disposero ai due lati della sala e cominciarono a girare tra i tavoli togliendosi di dosso i costumi un pezzo alla volta. Alla fine mantennero soltanto uno striminzito paio di mutande nere lucenti.

Durò tutto solo pochi minuti, poi gli spogliarellisti si dileguarono e le luci tornarono normali. Si rideva abbondantemente da tutti i tavoli. Noi ridevamo imbarazzati. Abbiamo commentato le cose che avevamo visto. Il momento più strano era stato quando uno dei due “artisti” si avvicinò a Gabriella, le appoggiò una mano sulla spalla, alzò la testa, mi vide, lo fissavo, disse un flebilissimo “scusa” e si allontanò in fretta.
“Ecco, hai visto? Se non c’eri tu…” diceva lei ridendo, senza riuscire a nascondere il rossore.

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La telefonata finisce con la proposta di vederci. La settimana prossima. Magari un cinema, o solo la cena, per chiacchierare. Lei sarà in città tutta la settimana perché sta lavorando per la tesi di dottorato. Ottima occasione per passare un po’ di tempo insieme.

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