Vado a prendere un caffè.
In breve arrivano pure gli altri. Il tizio – ormai ex sostituto – si presenta. Dice che ci siamo già conosciuti. Di sicuro conosceva già le due donne: recitavano insieme in un’altra compagnia.
Dice che ci siamo conosciuti in pizzeria, dopo un mio spettacolo.
Tornati in teatro, troviamo già alcuni spettatori in platea. Sistemiamo gli ultimi dettagli in scena, poi ci ritiriamo in camerino. Non camerini, al plurale, ma proprio camerino, al singolare. È un unico stanzone nel seminterrato, sotto il palcoscenico, usato come deposito di generi alimentari e stoviglie per sagre paesane. L’abbiamo diviso in due con un telo scuro. Qua stiamo noi, io e il Secco, di là stanno le donne.
Ripenso a quello che ho fatto e detto e me ne sento orgoglioso. La caffeina nel sangue amplifica l’autostima. Che Laura stesse mentendo oppure no, è soltanto un problema suo e della sua coscienza.
Adesso l’unico dubbio è il fatto che dall’ultima replica non ho mai provato la mia parte. Mi affido al mio istinto da attore.
L’organizzatore della serata ha la bella idea di mettersi a parlare al pubblico per presentare la serata prima del previsto. Non non siamo ancora pronti. Facciamo le cose di corsa. Il Secco quasi mi acceca mentre mi passa la matita sotto gli occhi. Non c’è nemmeno uno specchio, qui, per controllare pettinatura e trucco.
Torniamo su. Scale a chiocciola del cazzo. Ecco la solita emozione da spettacolo. Ci siamo. Per le prossime tre mezz’ore, il nostro mondo sarà ristretto a quattro buffi personaggi che dicono cose e al pubblico che con la sola presenza permetterà loro di vivere.
***
A parte le normali sviste, coperte da improvvisazione acrobatica, è andata benissimo. Il pubblico si è divertito. Fuori da questa sala offrono polenta e vin brule. Noi ci cambiamo in fretta e in abiti civili riusciamo a bere qualcosa. Sarebbe presuntuoso dire che mi sento felice, ma la sensazione è questa. O qualcosa di molto vicino. È sempre così dopo uno spettacolo riuscito bene.
Però, se guardo bene, stavolta, in fondo al sacco, c’è l’amarezza per qualcosa d’importante che si è infranto. Questa compagnia è finita. Forse avrei potuto o dovuto chiudere con Laura e le sue schizofrenie dittatoriali e sfanculare tutto senza ripensamenti. Adesso ne sarei fuori. Ma ora come ora penso di aver fatto la cosa giusta.
Le cose finiranno ugualmente, ma nessuno potrà dire che sono stato io a volerlo.
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Due ragazzi che sembrano non ancora ventenni mi si avvicinano. Mi chiedono informazioni su chi siamo, come si fa a costruire una compagnia teatrale e dove si trovano i testi. Hanno appena formato un gruppo e si stanno organizzando per il prossimo anno. Cerco di rispondere nel modo più chiaro possibile e aggiungo qualche consiglio. Mi ringraziano e si complimentano. Mi guardavano con ammirazione. Spero riescano a mantenere il loro entusiasmo.
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Si smonta la scenografia, si caricano le auto. Restiamo in quattro. Con Laura, il Secco e il tizio andiamo in un locale a una decina di chilometri ancora aperto, per una birra e qualcosa da mangiare. È già mezzanotte: restiamo là fin quasi alla chiusura, poco prima delle tre. La conversazione è inaspettatametne rilassata. Laura mi cerca insistentemente con lo sguardo. Fingo di non essermene accorto.
Non credevo che detestare qualcuno potesse avere risvolti così piacevoli.


Sono contenta che sia andato tutto bene.
La cosa di cui ti ho parlato ieri si è rivelata una bolla di sapone. Pazienza.
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Grazie. Buon week end anche a te 🙂
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