Il fiero pasto rischiava di restarmi indigesto. L’ho innaffiato con della birra nera. Anche io sono d’umore nero. Non troppa, comunque, c’è uno spettacolo da fare. Tra meno di un’ora. Nel tragitto pedestre Paolino il Secco prende a spingermi per fare prima. Bambinate.
In teatro non c’è nessuno. La porta che avevo lasciato socchiusa ora non lo è più. Fortunatamente oltre un ulteriore cancello è rimasta aperta la porta tagliafuoco dietro il palcoscenico. Entriamo e cominciamo a prepararci. Alle venti e trenta prendiamo anche a chiamare i numeri a nostra disposizione per chiedere che venga qualcuno ad aprire il teatro al pubblico: non abbiamo nemmeno i biglietti e qualcuno comincia ad avvicinarsi alle porte. E’ una situazione paradossale.
Un responsabile arriva soltanto quando mancano quindici minuti allo spettacolo. La gente è pochissima, una trentina di persone, ma date le circostanze e l’entusiasmo degli organizzatori, poteva andare peggio.
C’è caldissimo, anche ad aprire le finestre, nei camerini. M’ingommo i lunghi capelli perché stiano pettinati all’indietro. L’eccedenza la lego con un elastico. Tolgo gli occhiali da vista. Mi guardo allo specchio, sembro il Padrino da giovane. Forse no: le guance non mi cascano a quel modo. Sono pronto, mi sento sicuro, la tensione è giusta. Non penso al resto, esiste soltanto lo spettacolo. Scendiamo le scale che dai camerini portano al palco. Ci siamo tutti. Laura prende il citofono e comunica il via libera al tecnico in cabina di regia. Virginia è già in scena. Le luci in sala si spengono. Laura tira la corda ed il sipario s’apre.
Virginia comincia il suo monologo d’apertura, io sono pronto ad entrare. Leggero tremore delle mani. L’emozione di ogni volta per la quale vale la pena fare tanta fatica. Ecco che s’alza dalla poltroncina, fa due passi, ora mi da le spalle, ancora un passo. Entro. Il mio debutto in un testo che ha per sottotitolo un “giardino dei brutti sogni”.
Il pubblico, scarso, sembra non reagire all’inizio, poi si scalda e cominciano le risate e gli applausi. Va tutto bene. Eccezion fatta per un paio di incertezze di Laura, nelle scene più difficili. Ancora applausi ai saluti finali. Un bravo si leva al mio ingresso per l’inchino solista. Sì, sono stato bravo.
E’ finito. Tolta la pesante giacca di lana, spio da uno spiraglio la gente in sala che s’appresta ad andar via. C’è un mio caro amico. Esco a salutarlo. Trovo anche i miei genitori – sono venuti, allora! – che s’apprestano ad uscire, non rimangono mai più del dovuto. Ci sono anche altre persone, più o meno notevoli, che conosco.
Parlo a lungo con il mio amico, poi arriva Laura, la raggiungo mentre parla col responsabile di un teatro della provincia. Ci ha già assegnato una data in primavera con l’altro spettacolo. Forse deciderà di inserire in rassegna anche questo. Faccio quattro chiacchiere con Davide, mi stufo subito. E m’irrito: non parla mai in modo del tutto serio. Sembra che mi prenda in giro. Gli dico che si rende antipatico. Per tutta la serata terrò con lui un tono sarcastico.
Ci cambiamo, carichiamo nelle macchine attrezzature, scenografie e costumi e andiamo a bere qualcosa. A noi si unisce Davide, come m’aspettavo. Nel locale trovo modo, al nuovo accenno di Laura alla festa, di dirle che non invita le persone giuste. Avrei voluto usare del sarcasmo anche in questa occasione. Non so se ci sono riuscito.
Si è bevuto, e molto. Laura ha parlato di un progetto di cortometraggio. Una cosa di cui parliamo da tempo. Sta tentando di coinvolgere il tecnico. Che si fotta. Alla seconda pinta di lager ho iniziato a divertirmi.
All’uscita dal locale, verso le due di notte si è svolta una puntata importante di un’altra brutta storia. Un altro brutto sogno.

