Dal debutto dello spettacolo sono passate due settimane. Per questo sabato Laura ha organizzato una visione collettiva del filmato. Io detesto queste serate. Detesto vedermi nei video e non sopporto ascoltare la mia voce registrata.
Siamo a casa del Secco. La casa del Secco è grande. Con un seminterrato delle dimensioni del mio appartamento e il giardino avanti e dietro. Certo, è lontana dalla città, ma in mezz’oretta ci si arriva.
Dopo la tortura visione del filmato, abbiamo discusso sulle scene da modificare. Abbiamo anche deciso di riscrivere il finale. Cioè, io lo riscriverò, ché dei due io sono quello che scrive.
Il giardino era illuminato solo da due lampioncini a forma di palla. L’erba verdissima pareva un pavimento in moquette sotto sedie e tavolo bianchi, con il buio assoluto tutto intorno avevo l’impressione di essere in un luogo irreale come il palcoscenico. La fetta di torta l’ho assaggiata appena, il vino rosso non era granché.
Poi ci siamo salutati. In macchina con me ci sono due delle attrici da riaccompagnare a casa. Una già sta addormentandosi. Di solito Laura va avanti e io seguo a una certa distanza. Quando le nostre strade si separano, l’ultimo saluto è un lampeggio di fari.
Stasera, invece, no: lei si tocca la testa e si siede.
“Che hai? Non ti senti bene?”
“Sì, cioè, no, devo aver bevuto un bicchiere di troppo, mi fermo per un attimo.”
“Vuoi che aspettiamo? Così facciamo la strada insieme?”
“Non è necessario, andate pure. Resta Paolino”
Sfido, che resta: è casa sua. Allora noi andiamo. E per tutto il tragitto ci penso. Anzi, no, è quella immagine. Il giardino, il lampione, il vuoto tutto intorno, Laura e il Secco seduti di fronte. L’erba intensamente verde, il tavolo bianco, le braccia nude, la testa abbassata sulle mani e i capelli lunghissimi a fare da sipario.
Il sipario è abbassato, non mi vede e io non sento la voce.
Sono le quattro di notte e non dormo ancora. Le scrivo un messaggio: “Come stai”. Chiudo gli occhi.

