Le estati marziane. 3. Sara

La giostra da soli al mattino presto, il nero e il rosa e il vestito bianco corto, Sara arrossiva senza rendersi conto. Come dopo una corsa, ma senza affanno.

Con lei era tutto un capirsi muto ed averne paura. Cercarsi, fingendo di non trovarsi. Una specie di rincorsa ipotetica.

Mino e Sara non capirono mai chi dei due fuggiva, perché rimasero fermi a osservarsi. Cercavano il prossimo passo dentro il gesto l’uno dell’altra. Fu una lotteria senza estrazione. Sara restò sul Vesuvio, Mino l’attese in riva al mare. Una giostra ferma per troppo imbarazzo.

Una sera non c’erano più bambini, né mamme apprensive. Erano rimasti soli, seduti accanto allo scivolo. Parlavano piano, alternando le frasi ai silenzi. Mi piace il tuo vestito. Come sta tuo fratello? Sai, devo partire. E quando? Presto. Ma ci rivedremo? Dammi la mano, passeggiamo un po’. E chi sa, chi sa.

Si rividero, qualche volta. Però non fu mai più come la sera accanto allo scivolo. Mino immaginò di tornare lì, per un attimo. Chiuse gli occhi.

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