La rivelazione di un mistero, come un contatto ruvido con la terra. Anita fu un ginocchio sbucciato che brucia. Indubitabile come un braccio rotto. Anita era troppo semplice per essere comprensibile. Era materia plasmabile che ti fa male mentre cede. Era magma incandescente.
Anita la vedevi comparire come un’ombra spettinata, un profilo, un elastico nella sabbia, il nero infinito degli occhi, le parole importune, la furia, le labbra, le braccia e il terrore che qualcuno sentisse e taci, per carità, taci!
Mino l’inseguiva e lei si lasciava raggiungere, ma era solo il suo gioco. Non fidarti mai, Mino, non fidarti: Anita non si può catturare. Ogni volta Mino decideva di crederci ancora. Non gli importava sbagliare. Era meglio fallire che non tentare affatto.
Devi saperlo, ormai, diceva Anita. Non c’è alcuna possibilità. Non c’è mai stata. Non ci sarà. Lo diceva proprio così, senza enfasi, mentre legava i capelli, con l’alito cattivo e l’elastico sporco. Lo diceva come avrebbe detto il prezzo di una scatola di viti da legno. Lo diceva guardandolo fisso, aspettando una reazione emotiva. Anita era senza pietà.
Incontro e addio fu tutt’uno. Mino si scottò le labbra con una tazza di caffè bollente.

