Ripensare a Rosaria era come guardare il Sole. Illuminava la notte come fa la Luna. Mino era sicuro di averla conosciuta già prima di conoscerla. Con lei saltarono tutte le presentazioni, furono subito seduti vicini a raccontarsi, come vecchi amanti. Sopra l’altalena, al tramonto, si confessavano i difetti. Avvicinati ancora un po’, ché non sento. Eccone un altro.
Rosaria non aveva spigoli. Toccarla non poteva essere doloroso. Mino ora pensa a lei come ad una fotografia controluce: abbaglia ma non acceca. Gli pare di sentire ancora il respiro, il fresco della sera sulla schiena, il crepuscolo infinito. Rosaria era quell’angolo di mondo completamente deserto in cui il tramonto si ferma e non fa mai buio.
Però Mino non trova emozioni in questo ricordo. È come una foglia conservata in un libro. Come quando, sfogliando un album, guardi una foto e fai un sorriso. Poi volti pagina e non ci pensi più.

