Charles Chapin, 1858-1930.

Charlie era sempre sulla branda. Anche da sveglio. Non aveva alcun motivo per alzarsi. Per andare dove, poi? La vita di Charlie era tutta in quella piccola stanza. Due metri virgola uno per un metro. Il soffitto era alto solo due metri. Se alzava il braccio, Charlie poteva toccarlo.
Charlie stava sulla sua branda e pensava a quel giorno di settembre di dodici anni prima. Se tornassi indietro, se potessi… Charlie non sapeva se l’avrebbe fatto ancora. Avrebbe voluto essere certo che fosse l’unica scelta possibile. Però sentiva di aver sbagliato, senza riuscire ad ammetterlo. Charlie era un vecchio inutile e depresso. Gli avevano negato anche i suoi fiori. Del resto, non ti serve aver voglia di vivere quando sei rinchiuso a Sing Sing.

Charlie era stato un grande giornalista. Aveva cominciato che era un ragazzino e poi aveva fatto carriera in città e giornali sempre più importanti. Poteva ringraziare solo le sue capacità ed il suo carattere, determinato fino alla spietatezza. Per vent’anni fu il direttore di maggior successo che si fosse mai visto. E fu pure uno dei meno amati dai suoi dipendenti. Aveva licenziato oltre cento giornalisti, compreso il figlio del proprietario. Bastava poco: una parola scritta male oppure perché quella mattina ti eri rotto una gamba scivolando sulla neve e non ti eri presentato in ufficio.
Una volta, uno dei suoi redattori, venuto a sapere che Charlie era a casa ammalato, disse: “Spero che non sia nulla di banale.”
A Charlie piaceva spendere molto. Più di quanto guadagnasse. Viveva in albergo come un milionario con sua moglie Nellie senza preoccuparsi dei debiti. Un prozio di Charlie non sarebbe vissuto ancora a lungo e Charlie aspettava l’eredità. Nel 1906, settanta milioni di dollari erano tanti. Charlie provò una sensazione di orrore misto a disperazione quando scoprì che la sua parte arrivava solo a cinquantamila.
Charlie si trovò improvvisamente nei guai, ma non voleva accettarlo. Non disse niente a Nellie e continuò a far debiti. Nellie, che aveva lasciato la sua carriera di attrice per seguire Charlie. Era la più dolce, sincera, amabile donna che abbia mai conosciuto, diceva Charlie. Era allegra, divertente e piena di gioia di vivere, diceva Charlie. Chiunque la conoscesse non poteva non amarla, diceva Charlie.

Nel 1918 Charlie non aveva più nulla. Decise che l’unica via d’uscita era il suicidio. il 16 settembre era lunedì. Nellie andò a letto. Charlie le sparò. Scrisse “Ho provato a capire cosa sia meglio fare, e non posso sopportare l’idea di lasciare mia moglie ad affrontare il mondo da sola, perciò ho deciso di portarla con me.”
Charlie non la portò con sé. Charlie non si uccise. Fu arrestato quella sera stessa. La sua carriera finì in quel momento esatto. Charlie era diventato la notizia.
Charlie disse al giudice di essere pazzo, ma era una bugia. Charlie era colpevole. Gli fu risparmiata la vita, ma essere rinchiuso in una cella non somigliava per nulla ad essere vivo. Charlie restava sulla sua branda.
Il direttore del carcere per un po’ gli permise di coltivare fiori in un pezzetto del cortile pietroso. Ci riuscì con molta fatica, lavorandoci a lungo. Era diventato “l’uomo delle rose“. Alcuni suoi compagni di detenzione dissero che ne furono ispirati. Nel 1930 Charlie aveva 72 anni. Il suo giardino fiorito, una mattina, fu cancellato per fare spazio a nuovi impianti idrici. Charlie tornò sulla sua branda. Disse che era sempre stato un giornalista. E morì.

