Lunedì mattina avrei dovuto essere a un appuntamento di lavoro. Dieci minuti prima dell’orario convenuto, il tizio che mi aveva convocato mi chiama per rimandare a data da destinarsi. Per problemi personali, dice. Poteva avvisarmi prima, cazzarola.
Uso il tempo libero per andare all’università. Durante il tragitto dal parcheggio riesco a sentire Andrea. È un momento incasinato per lui. È tornato single, suo malgrado, da pochi giorni. Organizzo una sera in birreria con Cristian, così si distrae dai pensieri cupi.
All’università c’è Roberta, che si è iscritta di nuovo, dopo tanti anni. Oggi presentano il corso di Beni Culturali e l’accompagno volentieri. È un po’ strano ritrovarsi qui dopo quasi dieci anni. Questi che ho attorno sono tutti novellini appena arrivati. Ridivento matricola per un giorno.
La maggior parte dei neo-universitari sedeva all’inizio o alla fine delle file di sedie. Pochi nei posti centrali.
La professoressa che stava parlando spiegava gli scopi del corso e le possibilità di sbocchi lavorativi dopo la laurea. Penso che sia inutile: questi qui sono già iscritti. Ormai la cazzata è fatta.
Da apprezzare il lungo giro di parole con cui ha detto ai presenti che saranno disoccupati a vita.
“La grande industria del nostro Paese sono i Beni Culturali”.
Grande industria un cazzo. Potrebbe esserlo senza dubbio, in teoria, ma nel mondo reale quella che racconta è solo una favola. Ecco, infatti, poco dopo, descritta questa utopia, aggiunge: “Naturalmente non è così”.
Dice che se non si ha una media altissima, per lavorare in questo campo è necessario avere delle virtù personali, tipo sposare un sovrintendente o avere un parente Ministro. Forse credeva di essere spiritosa con questa battuta di pessimo gusto. Che schifezza.
Di sicuro, se intendeva motivare dei ragazzi al primo giorno di università, ha fallito miseramente.
Sessismo e esaltazione della raccomandazione tra parenti perché “tanto lo fanno tutti”. E questo dovrebbe essere un luogo di cultura.
Dal mio punto di vista, oggi, tutti i discorsi fatti in quest’aula hanno un senso tutto diverso da quello che avrebbero avuto quando ero un ingenuissimo studente proveniente dal liceo.
Al termine, saluto Roberta e passo nell’ufficio dei rappresentanti a salutare. Una volta era il mio ufficio.
