Noi tre

Nel suo curiosissimo accento tedesco con inflessione partenopea, disse proprio così: “Noi tre siamo una bella coppia!”
Era notte inoltrata, in pieno luglio, su quel patio di un villaggio turistico cilentano. C’era silenzio e un buio limitato da qualche lampione. Stavamo seduti – diciamo pure stravaccati – sulle sedie del bar chiuso.

Lello parlava in questo modo l’italiano. Era nato e cresciuto in Germania, a Solingen, da una famiglia originaria della Campania. Parlava un italiano contaminato da termini dialettali imparati dai suoi genitori. Non era un tipo che facesse amicizia facilmente. Aveva l’atteggiamento da bulletto violento e da alcune sue affermazioni o riferimenti si intuiva che la sua non doveva essere una vita del tutto limpida, per dire così. Ma con noi aveva adottato un approccio amichevole, quasi confidenziale, come se avesse riconosciuto me e Pasquale come suoi pari. Anzi, come riferimenti.

“Noi tre siamo una bella coppia!”, disse, spezzando quel silenzio. Noi scoppiammo a ridere immediatamente. Anche Lello rise. Con noi si sentiva a suo agio. E invece delle frasi un po’ sbruffone che usava con gli altri, nei momenti che dividevamo se ne usciva di frequente con perle come questa, improvvise, inaspettate, senza preamboli, con quel suo modo brusco e sfacciato di fare le cose.

Come quella volta in cui stavamo camminando sul bordo della strada. Seguivamo la linea gialla, passo passo. Nessuno di noi parlava, ma ognuno di noi sorrideva per la presenza degli altri due. Uno di quei momenti in cui ci si sente al proprio posto nel mondo. D’un tratto Lello, che chiudeva la fila, urlò spaventatissimo: “Attenzione! ‘O calabrese!”
Era una grossa vespa – un calabrone – ad avergli fatto paura, in quell’estate del millenovecentonovantatre.

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