Fin dalla prima scena la tensione ha tentato di farci qualche scherzo. Ho iniziato io, durante la prima scena, poi è successo al Secco, le due attrici hanno seguito. Nulla di grave, qualche parola dimenticata, qualche acrobazia verbale per recuperare la battuta giusta…
Come accade in questi casi, il pubblico non si è accorto di niente.
A parte questi dettagli, abbiamo avuto un buon ritmo e le voci erano forti e chiare. Chi era seduto in sala si è certamente divertito. Gli organizzatori sono stati soddisfatti. Il ricavato della serata andrà in beneficenza ad una missione in Africa. Si avvicina anche il parroco della zona. Anche lui è tra i promotori dell’iniziativa e uno di quelli che ha voluto proprio il nostro spettacolo: conosce molto bene l’autore del testo teatrale e ne è appassionato lettore. Si complimenta anche lui.
Al momento dei saluti siamo stati chiamati sulla ribalta più del previsto per una dose di applausi supplementare.
Subito dopo, esausti e sudati, ci siamo dati una ripulita tornando in abiti smorti. Dopo uno spettacolo mi sento molto rilassato, stanco e felice. Mi piace aggirarmi nella sala vuota dove fino a poco prima la gente applaudiva. C’è silenzio. Un silenzio che mi pare sempre molto significativo. Stasera più del solito. Ma quale sia il significato non ho potuto capirlo.
Mi sono seduto su una poltroncina rossa, in mezzo alla sala deserta, e ho desiderato di restare lì, addormentarmi e sognare di essere ancora il mio personaggio. Con i suoi problemi, certo, ma anche con le soluzioni già pronte, predisposte dall’autore. Sarebbe facile…
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Ma ci stanno aspettando per chiudere e andare a dormire. Metto via gli oggetti, il mio costume, i trucchi, il pettine e le spille di sicurezza, l’asciugamano e la matita per gli occhi, il fondotinta e la finta cravatta. Porto la borsa in macchina, poi la giacca, nella sua protezione di plastica trasparente. Poi infiliamo il tavolino e le sedie in vimini nel bagagliaio di Laura, le due assi nell’auto del Secco. Faccio un ultimo giro sul palco e nei camerini. Per controllare che non sia rimasto nulla, ma in realtà per un ultimo saluto al sipario.
Peccato sia già tutto spento.
Troppo buio per addentrarsi.
Ciao ciao da qui, allora.
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“Una rappresentazione sofisticata ed insieme esilarante, interpretata magistralmente da quattro giovani incredibilmente talentuosi e padroni del palcoscenico, fra cui ha giganteggiato per simpatia, naturalezza, ritmo e calibro vocale l’interpretazione di un certo Virginio… bravo, bravissimo, continua così, siamo fieri di te e felici di avervi seguito. Tienici aggiornati sui tuoi prossimi tour teatrali. Entusiasti F. e G.”
Un messaggio così il mio telefono non l’aveva ancora mai visto. Sembra che ai miei amici lo spettacolo sia un po’ piaciuto.
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La gioia è durata pochino. Andiamo a cercare una pizzeria aperta. Quelle qui vicino stanno chiudendo o sono già chiuse. Propongo di tornare al posto di ieri sera. Andiamo.
Laura sceglie di nuovo con attenzione il posto più lontano. Anche stavolta sono escluso dai discorsi di quella parte del tavolo. Dove si decide della compagnia. Per un attimo penso che potrei andare via direttamente. Resisto, non parlo, non dico niente, non voglio creare casini, sono troppo stanco.
La pizza mi è amara e la birra non disseta. Non ho nemmeno la mia stilografica. Avrei davvero voglia di scrivere. Comporrei versi pieni di artigli felini, e poi dovrei ingoiarli graffiandomi la gola e lo stomaco.
E magari mi sentirei meglio.
Prendo un amaro amarissimo, alla fine. Mi sembra che sia l’unica cosa ad aver sapore. E’ quasi l’una di notte. Aspettano noi per chiudere. Ci alziamo. In un’impeto di ubriachezza, Laura annuncia che è la compagnia a pagare per tutti. Fuori il Secco mi chiede di andar piano, ché non conosce la strada. Partiamo, ma dopo duecento metri mi fermo. Il telefono. Non ho il telefono. Decido di tornare indietro.
Il cancello del locale è chiuso. Dal retro esce un’automobile. Il conducente mi vede, si ferma. “Penso di aver lasciato dentro il telefono”, gli dico. Lui parcheggia e viene ad aprire. Passiamo per le cucine e arriviamo in sala. Il tavolo non è stato sparecchiato. Sotto il mio tovagliolo, il cellulare. È la prima volta che mi capita. Troppa tensione ha tentato di farmi un brutto scherzo. Ringrazio e usciamo.
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È una felicità depressa. A casa, mentre sto salendo le scale, mi accorgo di aver lasciato il telefono in macchina. Arrivo su, lascio in casa borse e costume e torno subito giù a prenderlo perché non voglio arrendermi.


Scopro oggi il tuo blog, dopo il tuo passaggio sul mio. E sai perfettamente anche tu cosa sia l’odore di un teatro,l’ultimo giro sul palco, il nodo allo stomaco che ti prende il pomeriggio della prima…sono sensazioni che non si provano da nessun’altra parte se non in scena.
Quando e come e dove ti trovo sul palco? Io chissà quando ci tornerò…
http://istericotuareg.blogspot.com