Sabato, il Sistema, le Spalle e la Birra nera

Un sabato sera senza movimenti bruschi. Quasi.
C’è un amico, Vittorio, che non esce molto spesso e che mi ha chiesto di vederci. Così ci siamo trovati per una pizza. Ha sciolto subito il mistero sul motivo che lo ha spinto fuori casa. Voleva da me consigli per conoscere e per “conquistare” ragazze.
La cosa mi ha fatto sorridere.
“Io che cazzo ne so come si fa a conquistare ragazze?”
Il francesismo è sfuggito spontaneo, dato l’argomento. Poi, con maggior creanza gli ho pazientemente spiegato che non ho alcun insegnamento da elargire a chicchessia.
“Ma sei sempre con una donna diversa, avrai un sistema!”

Un sistema. Come se la compagnia femminile fosse il risultato di un algoritmo e le donne una variabile dell’equazione. Di sicuro sono una incognita, ma nel senso più misterioso del termine.
No. Non c’è nessun sistema, gli ho spiegato. Le donne che conosco, le conosco per caso. Perché esco e succede. Poi, quando c’è interesse, lo si capisce subito e ci si rivede. Tutto qui. Mentre parlavamo siamo arrivati al locale.
“Ecco qui: questa pizzeria mi è stata consigliata, ma non ci sono ancora mai stato”.
In effetti era stata una ragazza con cui uscivo a proporla come posto dove andare, una sera. Ci siamo venuti solo un paio di volte per un caffè, dopo pranzo. Lei conosce i gestori. Avevano un altro locale vicino a casa sua, prima. Però ci siamo lasciati male prima di poterci passare una serata.

Appena entrati – il tavolo si libera entro qualche minuto, aspettiamo un po’ – quindi, stavo pensando a quella ragazza guardando distrattamente i clienti già seduti in sala. Intanto, Vittorio ordinava due aperitivi per riempire l’attesa. Poco dopo stavamo brindando a qualcosa di irrilevante, quando entrano due coppie, quattro persone una delle quali ha un viso assai familiare.

Se fosse un racconto, a questo punto dovrei rivelare che sì, era proprio la ragazza di cui avevo appena parlato con Vittorio. Ma questo non è un racconto, questa è la vita vera e quella appena entrata era sua sorella. E io non volevo vederla. Non avevo la minima idea se mi avrebbe salutato, se avrei dovuto rispondere al saluto o salutare a mia volta… Insomma, chiaro, no?

Io davo le spalle alla porta, ma passando Martina potrebbe avermi visto. In tal caso mi avrebbe già ignorato. Per qualche minuto si è trovata a pochissima distanza da me. Potevo vederne le spalle e parte del viso. Mentre cercavo di capire, spiegavo a Francesco la situazione per sommi capi.
La sorella di Martina, Vittorio la conosce come “quella del calendario” perché era sulla foto di marzo del calendario universitario realizzato dalla rivista su cui scrivevo. È così che l’ho conosciuta. Poi siamo usciti insieme per quattro anni.

Comunque Martina non mi ha visto o non ha voluto vedermi. Meglio così. La mia parte sadica, mentre gustavo la pizza, mi ha suggerito che sarebbe stato elegante, prima di andar via, passare a salutarla per metterla in imbarazzo.
“Salutami tua sorella”, sarebbe stato epico. Ma la ragionevolezza ha prevalso.

Il caso ha in ogni caso voluto colorare il finale. Nel momento in cui stavo per uscire, Martina girandosi mi ha visto, ne sono certo, e poi ha subito abbassato la testa a guardare nel suo piatto. Ho salutato mentalmente il suo maglione colorato.

La serata è proseguita con un paio di birre nel locale di Andrea, poi di nuovo in città in un terzo locale, un’altra birra nera e amara. A quel punto, erano le due, siamo stati gli ultimi a uscire prima della chiusura. Le chiacchiere sono continuate ancora a lungo, passeggiando attraverso il freddo di un inverno che s’è fatto aspettare a lungo.

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