È domenica, sul cartellone c’è questa data, c’è il titolo dello spettacolo e ci sono i nostri nomi.
In mattinata devono portarci i fari. Mi occuperò io, con il tecnico, a montare tutto il fattapposta per farli funzionare. Eravamo d’accordo di trovarci noi due già nel primo pomeriggio per avere tutto pronto all’arrivo degli attori. Però spuntano imprevisti e arriviamo in teatro tutti alle cinque.
Solo che alle cinque non c’è nessun altro.
Il primo a raggiungermi è il tecnico. Ascoltiamo la radio fino all’arrivo del Secco, che deve provvedere a cercare l’omino che apre la porta. Le attrici arrivano con comodo, ma somunque prima del mastro di chiavi con al collo una bimbina sonnecchiante.
Dentro scopriamo che al mattino hanno installato due gruppi da quattro fari ciascuno, il tutto pilotato da una enorme centralina e un vecchio mixer a ventiquattro canali.
Ci raggiunge in sala l’operatrice che farà la ripresa video. Orientiamo i fari e decidiamo le illuminazioni scena per scena.
Senza pause, proviamo le scene finali modificate ieri. Una candela accesa in mano, la eviterei. Ci si può distrarre. Ho addosso un senso d’inquietudine spossante. Ho sete, anche. Mi pare di sprecare tempo e fatica per qualcosa che non mi appartiene. Non più.
Ci fermiamo per una pausa quando manca poco più di un’ora allo spettacolo. Al bar di fronte al teatro mangiamo qualcosa. Laura sceglie ostentatamente il posto a sedere più lontano da me. Il tavolo è lungo. Vorrei partecipare al discorso, e invece me ne sento escluso.
Avrei bisogno di un periodo di calma. Speravo in una sospensione delle attività in autunno. Laura va in Francia per qualche settimana. Invece c’è un altro spettacolo da provare e dovrò dirigere le prove. Niente pausa.
Quando arriva al tavolo il tizio delle ordinazioni, qualcuno urla che siamo gli attori dello spettacolo di stasera. Lui mi si avvicina e chiede se sia io il regista. Nego, lui dice che ho l’aria del capo. Laura mi lancia un’occhiataccia. Che problemi ha?
Io sono già nervoso. Ho voglia di tornare a casa e mandare a quel paese tutti e tutto. Dico “Torniamo in teatro?” col tono di un ordine.
Appena sono sul palco, con la scusa di provare la voce lancio qualche urlo a sipario chiuso. Passeggio sulle tavole, approfittando del fatto che siano tutti nei camerini. Anche il Secco è nervoso, ma è perché il suo fisico non regge il caffè. Sta cercando di calmarsi ascoltando musica, ma il suo vecchio walkman non vuole saperne di funzionare.
C’è da chiamare ancora lo stronzo delle chiavi che se n’è andato. Deve aprire il teatro al pubblico che sta già aspettando per entrare. Qualcuno è addirittura venuto fino alla porta sul retro, dove ci sono i camerini, per chiedere se lo spettacolo non fosse stato rimandato o cancellato. A meno di mezz’ora dallo spettacolo col teatro completamente chiuso, è un dubbio legittimo.
L’uomo arriva di corsa – “scusate, scusate, scusate!” – mettendosi rapidamente al lavoro. Noi ci ritiriamo nei camerini a cambiarci. Le mie mani hanno un tremolio continuo. Cerco di concentrarmi. Siamo pronti. Invochiamo “merda!” come gli attori veri. Virginia entra in scena, si spengono le luci in sala, si alza il sipario. Silenzio, inizia.


Decisamente mi piace il tuo modo di scrivere e di raccontare le cose…
Allora.
Questo post è angosciantissimo. Tra un mese sono in ballo anch’io con uno spettacolo nuovo.
Ma quello che volevo dirti è un’altra cosa:
Mangio il fegato crudo. E’ irresistibile. Cotto non mi piace neanche tanto. Ma crudo, crudo per me è una delizia.
Le altre quattro non mi vengono in mente. Ma ci penso e ri-passo.
E. che vuole sapere com’è andato lo spettacolo.
Complimenti il tuo racconto rende benissimo le sensazioni che si provano quando si inizia lo spettacolo. Al liceo mi iscrissi per tutto il triennio al laboratorio teatrale scolastico, niente di professionale come nel tuo caso, ma le emozioni sono proprio le stesse!!
In bocca al lupo per i prossimi spettacoli