
Anton era un attore sfortunato. La sua tecnica per trasformare le parole scritte sul copione in autentiche emozioni per il pubblico era fuori dal comune. L’empatia di Anton con i suoi personaggi era totale.
Si racconta che un mattino, preparando il caffellatte pianse amare lacrime di nostalgia, ricordando i ricordi d’infanzia dell’orfano che avrebbe dovuto interpretare quella stessa sera.
Ma Anton, dicevamo, era sfortunato. Ci fu un banale incidente, uno scooter gli sfiorò le gambe, un colpo, una caduta sull’asfalto. Nulla di grave: pantaloni strappati all’altezza del polpaccio e qualche escoriazione sul palmo della mano destra.
Ma lo spavento aveva cambiato qualcosa. Quella sera, la sua sublime tecnica funzionava come sempre, ma l’unica emozione che arrivava al pubblico era la paura. Più Anton restava in scena, più il terrore s’impadroniva delle persone in sala. A metà del secondo atto, la platea era semi deserta.
Anton oggi lavora in banca.

