Tra il telefono e la buca

Quando mi sveglio sono passate da poco le sette e mezza. Non m’alzo, subito.
Non devo andare al lavoro e posso fare tutto con calma. Caffé, colazione, doccia e arrivo al cantiere prima delle dieci.

Saluto Caàrlo e poi termino lo scavo della mia buca di palo e dopo la pausa caffé finisco di compilare le schede delle unità stratigrafica. Faccio tutto senza fretta, mi godo ogni colpo di cazzuola. Quest’ultima frase è una mezza bugia, ma la lascio com’è. In effetti non so spiegare cosa ci sia da godersi nel fare un lavoro così massacrante. Sarà la passione.

Di fronte a me c’è una studentessa che fa più o meno le stesse cose che faccio io due metri più in là. Ora, se avete una idea della posizione che assumiamo noi archeologi mentre lavoriamo su uno scavo, potete anche capire che una maglietta con un minimo di scollatura può essere uno spettacolo affascinante quando si trova proprio davanti agli occhi.
Il fatto che si lavori per tutto il giorno sotto il sole a picco, in questo senso, aiuta.

Ma non pensate chissà che, eh. Qui è come quando si va in spiaggia e stare tutti in mutande non fa effetto a nessuno. Però l’occhio cadeva spesso e chiacchierando del più e del meno, dello scavo, del direttore severo, delle cose da fare e di quelle fatte, mi veniva difficile non lasciarlo cadere. Quando lei ha detto “daresti un’occhiata alla mia buca?” sono scoppiato a ridere. Lei ha detto “scemo” e si è messa a ridere con me. Poi le ho dato il parere che mi ha chiesto sullo scavo.

Durante la pausa per il pranzo m’arriva la telefonata che attendevo da giorni. È arrivato il finanziamento dalla Provincia per la mia compagnia teatrale. Prendo accordi per preparare i documenti: andrò a ritirare l’assegno la prossima settimana.

Questo caldo mi fa passare l’appetito, consumo il mio pane masticando lentamente. È stato a questo punto che ho provato un brivido al pensiero di Caàrlo, un essere umano che è rimasto per oltre duemila anni seppellito lì, in quella posizione, e adesso era davanti a me quasi riportato alla luce.

Sono tornato a salutare Caàrlo in attesa delle ultime fotografie da scattare al lavoro che avevo svolto al mattino. Nel pomeriggio ho diviso altre buche da scavare con un’altra archeologa che ci aveva appena raggiunti. Ci siamo conosciuti lo scorso anno. Abbiamo cominciato a lavorare chiacchierando allegramente, poi anche lei mi ha chiesto consiglio sulla buca. Questa volta sono rimasto serio: due volte la stessa allusione, anche no… gliel’ho detto.

Intanto, un altro velo sul mistero dell’uomo seppellito è stato sollevato.
Era già evidente la posizione prona. Le scapole si trovano sopra alle costole. La novità riguarda la posizione delle braccia: i polsi sono uniti dietro la schiena. È plausibile che fossero legati tra loro al momento della sepoltura. Forse è stato ucciso. Sembra una esecuzione. Questo spiegherebbe anche l’assenza di un corredo funebre e la deposizione molto distante dalle zone di sepoltura note. Le ossa dei piedi sono ancora parzialmente coperti, ma qualcuno suggerisce la possibilità che fossero anch’essi legati all’altezza delle caviglie.

Tra il serio ed il faceto, abbiamo passato il resto della giornata a ipotizzare scenari che ricostruissero gli avvenimenti. Qualcuno ha invocato il tenente Colombo. Qualcuno è andato oltre: “E se i piedi fossero stati inchiodati?” “Sì, magari inchiodato a una croce.” “Oddìo, allora chi abbiamo trovato?”

Annoto in margine che fin qui ho parlato di Caàrlo dando per scontato che si tratti di un uomo e non una donna. Ovviamente posso sbagliare, ma il bacino sembra essere maschile. I miei colleghi di scavo condividono la stessa opinione. Però non abbiamo elementi per escludere che si tratti di un individuo molto giovane, adolescente. Sembrerebbe di no, a giudicare dall’altezza, ma non abbiamo elementi certi. Non ci sono antropologi in squadra. Nessuno si aspettava di trovare qui un essere umano.

La giornata di lavoro è finita e con essa il mio turno di scavo. Lunedì torno a fare vita d’ufficio. Proverò a tornare la prossima settimana, ma dubito di poterlo fare. Addio Caàrlo. Vorrei augurargli buon riposo, invece m’esce “scusa il disturbo”.

3 commenti su “Tra il telefono e la buca”

  1. Ciao ho scoperto il tuo blog oggi girando cosi senza meta su internet…scrivi molto bene e ho continuato a leggere le tue girnate a ritroso come si legge un libro con la curiosità di sapere come va a finire…mi hai tenuto compagnia inconsapevolmete in queste ore, ciao

  2. ma che bella esperienza!!! sai che da piccola sognavo di fare l’archeologa da grande? deve essere emozionante trovare resti che magari sono lì da migliaia di anni!! io appena ho letto che era prono ho subito immaginato questa scena… un’esecuzione… la buca già scavata… lui davanti alla fossa che appena ucciso viene gettato dentro… poi steso alla bell’e meglio… mah… chissà…

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