Il sonno non è ancora.
Tre ore dopo è la mattina dello spettacolo e già sto lavorando sulle registrazioni audio da aggiungere alla colonna sonora. Alle undici del mattino pranzo e siccome non c’è abbastanza casino, Laura mi chiama dicendo che non ha tempo per preparare la fattura e devo farlo io.
Nel primo pomeriggio sono sul palco con il Secco. L’impianto audio ci sarebbe anche, ma scopriamo che non c’è la linea elettrica per il mixer. Aspettando una soluzione, montiamo il fondale nero che è appena arrivato. L’appuntamento per le ultime prove è alle quattro. Gli attori arrivano alle quattro e mezza. Laura è a casa a riparare alcuni costumi scuciti.
Quelli che ci sono, non fanno un cazzo. Sono così nervoso che se mi metto a dirigere le prove li caccio via tutti. Chiedo al Secco di fare lui. Questa massa di incoscienti non sembra rendersi conto che fra tre ore si va in scena.
Quando arriva, Laura deve trattenere le urla. Le ragazze non sembrano interessate allo spettacolo e ai costumi. Noi tre abbiamo preparato tutto, come al solito, mentre gli altri hanno fatto i turisti. Possiamo fermarci un attimo quando manca un’ora allo spettacolo. Ci laviamo un po’ e beviamo qualcosa. Negli ultimi quattro giorni abbiamo lavorato almeno quaranta ore sotto il sole più caldo dell’anno. Sembra che non ci sia mai stato inverno.
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Lo spettacolo ha funzionato. Probabilmente è andato meglio del debutto di un mese fa. Verso la fine, però, la stanchezza ha preso il sopravvento e forse il ritmo è calato troppo. Gli attori principali, comunque, eravamo noi tre. E abbiamo retto.
Gli organizzatori ci hanno offerto un buffet. Ma dovevamo raccogliere i costumi e gli oggetti di scena. Ovviamente da soli, mentre gli attori sciamavano verso il cibo. Qualche stuzzichino e una bottiglia di rosso ci hanno pazientemente atteso. Abbiamo masticato un po’ amaro, ma orgogliosi del lavoro fatto. E infine abbiamo sorriso.
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Domenica mattina abbiamo dormito. Sono passato da Laura dopo pranzo e insieme siamo tornati a smontare le scenografie. C’è ancora una temperatura altissima e nessun riparo. Proprio un anno senza inverno, ho detto. Non significa niente, però mi dicono che è un bel titolo.
Il Secco è arrivato con un’ora abbondante di ritardo: “Scusate, ho dovuto svegliarmi, prima.”
Sotto la tettoia che riparava il rimorchio del trattore c’era un nido di vespe. Quando ci siamo avvicinati per caricare il materiale, siamo stati attaccati senza preavviso. Un attimo è bastato per prendermi quattro punture sul braccio e la mano. Al Secco è andata un po’ meglio, ma cazzo che dolore.
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È finita davanti a una pizza con farina di soia e una grande birra. Con noi tre, la sorella di Paolino il Secco. Sedersi senza fretta è stato così piacevole che pure l’amaro alle erbe m’è parso dolce.
“Vorremmo esprimere un sentito ringraziamento alla fontanella dietro il palco per averci evitato collassi da calore”.

