Mercoledì, coperto e semipiovoso in serata.
Una serata di prove a casa del Secco. Riprendiamo lo spettacolo dell’estate dopo un mese e mezzo dedicato all’altro. Questa volta ci sono tutti gli altri. Tranne Laura che arriverà più tardi. Senza di lei cominciamo con una lettura del copione. È la prima con Davide, lo stronzo nuovo. Non è solo a me che questo soggetto sta sul cazzo, ma pare che non si possa contraddire la proprietaria autoeletta della compagnia.
Per stasera, comunque, pare che il tizio abbia capito che deve stare al posto suo.
Quando Laura arriva, terminiamo la lettura e proviamo qualche scena. Davide si dimostra un manichino, incapace di interagire in modo naturale con la sua partner in scena. Se fosse stata una reazione alla scollatura di lei, sarebbe imbarazzante. A un certo punto, tentando di passare da seduto a inginocchiato è riuscito perfino a rovesciarsi la sedia sulla schiena. Delle mirabolanti esperienze che ha vantato fino a ora non si vede alcuna traccia. Nemmeno un principiante assoluto si emozione così.
Dopo le prove, chiedo a Laura se venerdì ci vedremo. C’è l’opera per la quale abbiamo i biglietti. E io ci andrò da solo. Lei finge di non capire la domanda e dice che ci va con le amiche. Poi si rende conto delle sue stesse parole e aggiunge che forse possiamo sentirci per vederci n qualche modo.
Quando stiamo per andare via, lei sale in auto, mette in moto, attende che io parta e spegne il motore. Scende di nuovo, si avvicina al Secco e cominciano a parlare mentre io vado via. Mi salutano e ritorna quella sensazione di essere escluso da qualcosa di cui non so nulla. Che ci siano cose da cui, a quanto pare, io debba essere tenuto all’oscuro è diventata una specie di certezza.
Prima di fermarmi a casa, mi fermo. Sto sul bordo della strada qualche minuto. Poi torno indietro per un tratto. Sto così nervoso che sarei capace di rifare tutta la strada, pur rendendomi conto dell’assurdita della cosa.
Ma entro pochi minuti la incrocio. Appena possibile inverto la marcia. Non c’è molto traffico e la sua auto si trova là davanti a me. Mantengo una certa distanza. Mi vergogno di quel che sto facendo, anche se so che in qualche modo non potevo farne a meno. Mi vengono in mente i nomi di alcune patologie del comportamento.
Di certi movimenti dell’umore ignoro i meccanismi di funzionamento, non ne comprendo i motivi, e non ho voglia né energie per pensarci. Semplicemente mi arrendo all’innocuo impulso che mi ha preso.
Entrati in città, lei si ferma a un semaforo rosso. Deve andar dritta. Se mi fermassi dietro di lei, mi vedrebbe. Vado a destra, così non devo fermarmi. Nel superare l’incrocio, per un attimo saremo affiancati. Spero non stia guardando in questa direzione. Devo passare velocemente. Chiudo gli occhi nell’attimo in cui… Passo.
Sulla via di casa mi metto a ridere.

